L’avrai capito oramai: ho un debole per Cagliari, e non solamente perché è la mia città natale. E’ il suo cielo a farmela amare tanto, la sua pietra morbida eppure resistente, la sua sé più nascosta e sotterranea, il suo mare, il suo sapore, la sua storia che ti racconta sì, ma con calma, che le signore si svestono, quando decidono di farlo, lentamente. E poi diciamocelo, come tramonta il sole a Cagliari, non tramonta da nessun altra parte.
I primi ricordi che ho di lei sono delle ormai scomparse vasche di Piazza Matteotti dove vivevano, stretti e infastiditi da orde di bambini, pesci rossi grandi e affamati o per lo meno a me sembravano tali. Poi c’era l’anfiteatro romano, intecato in quella recinzione insormontabile che non si capiva bene cosa fosse, quel che sapevo benissimo era che si trattava di una costruzione romana, dell’antica Roma, quella degli imperatori, degli Dei e dei gladiatori, e la vecchia Roma era la cosa più antica che potessi immaginare esistesse allora. Capirai bene la mia infatuazione.
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Durante i primi anni di università sarò passata una miriade di volte davanti all’anfiteatro: lo dico sempre, alla bellezza ci si fa l’abitudine proprio come al mistero e quell’ammasso di gradini vecchi e friabili misteriosi lo sono ancora.
Hai presente l’arena di Verona? Ecco l’anfiteatro di Cagliari è tutta un’altra cosa, più piccolo e cadente, ma esattamente come la più maestosa parente, merita d’essere visitato: per scoprire lei ti è sufficiente imbucarti in un aereo e trovare un hotel a Verona (io ne ho trovato di interessanti qui), ma se vuoi scoprire lui, il caro vecchio anfiteatro romano nostrano, non hai che da scoprire la zona più suggestiva della vecchia Cagliari, in viale Fra Ignazio, alle pendici del colle di Buon Cammino.
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D’altronde quello di Cagliari è l’anfiteatro più importante della Sardegna, costruito nei secoli a cavallo fra il I a.C. e I d.C. e capace di contenere circa 8000 personcini. Mica male per un anfiteatro di provincia.
C’era la cavea, destinata ad accogliere il pubblico, c’era il podium, le tribune esterne, le cryptae, ambienti e corridoi sotterranei, lo spoliarum o la camera libitina dall’omonima Dea romana della morte, utilizzato anche a Cagliari come obitorio – spogliatoio o chissà che altro (gli archeologi pare non abbiano trovato ancora una soluzione univoca, almeno da quel che risulta da L’anfiteatro Romano di Cagliari).
Esisteva per la mia gioia (adoro gli antri sacri) anche il Nemeseion, un ambiente formato da piccole nicchie ed edicolette nel quale si pregavano le divinità per una buona riuscita dello scontro. La Dea più gettonata era sicuramente quella del destino, Nemesis, che per altro dava il nome alla location, ma si pregava anche Diana, Marte ed Ercole. Lo Spano ricorda che “sul principio del secolo, in quelle edicole che si vedono sotto l’ambulacro a mano dritta c’era una statuetta di Ercole, in rilievo, la quale venne distrutta dagli studenti con colpi di pietre che lanciavano per barbaro trastullo”. I giovani dell’inizio dell’ottocento in fondo non erano più intelligenti di quelli del nostro secolo.
C’era anche il carcer dove i gladiatori venivano tenuti prima dello scontro, ambienti molto simili a quelli che ho visto nelle cisterne dell’Orto Botanico poco distante. Pare infatti che i due edifici fossero collegati: ecco spiegato dove conducevano quelle lunghe e buie gallerie, che te lo confesso, mettono i brividi.
L’anfiteatro Romano di Cagliari edito dalla Delfino Editore conclude il suo tour alla scoperta della struttura ricordando che “ Con la progressiva diffusione del cristianesimo, la feroce crudeltà dei ludi che si svolgevano negli anfiteatri divenne sempre più intollerabile alle coscienze degli aderenti alla nuova fede”. Insomma i cristiani ci mettono lo zampino e gli anfiteatri ai quali le corride di oggi farebbero un baffo, chiudono in massa. Gli spettacoli violenti, violentissimi, non piacciono più, o si spostano altrove e cosa ne è del nostro amphitheatrum? Dal XII – XIII secolo fino alla prima metà dell’ottocento diventa una cava: le fortificazioni bisognava costruirle con la pietra e già che c’era… Non ci crederai ma esiste ancora la strada dei demolitori, ben visibile, nella zona orientale della struttura con in rilievo i segni delle ruote dei carri.
Quel che il libro non ci dice è che negli anni cinquanta del ‘900 l’anfiteatro diventa casa per alcune famiglie di cagliaritani provati, come è facile immaginare, dalla guerra. Il tocco di Federico Patellani è naturalmente inconfondibile e quelle foto in bianco e nero sembrano scattate ieri, dinamiche, vive, attuali: a guardarle è praticamente impossibile non rispolverare quel senso di mistero che l’anfiteatro romano di Cagliari regala a tutti quelli che lo visitano.
Per guardarlo con occhi innamorati serviva qualcuno che alla bellezza ammaliante di Cagliari ancora non ci aveva fatto l’abitudine.
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Da quel che mi risulta le visite all’anfiteatro sono momentaneamente chiuse. Io sono ancora in attesa di risposta. In ogni caso per saperne di più visita questo sito e per dare uno sguardo alla struttura dall’alto ti basta una bella passeggiata nei pressi di Buon Cammino: è gratuita.
Per saperne di più:
http://www.sardegnacultura.it/documenti/7_4_20060402101301.pdf
http://www.anfiteatroromano.it/
http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&id=188435
Photo Credit:
L’anfiteatro Romano di Cagliari edito dalla Delfino Editore
Federico Patellani: un fotoreporter in Sardegna 1950 – 1966
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