Sono uscita dal letargo della travel blogger: forse sì, forse no. Poco importa, sono appena rientrata da un fine settimana super trascorso con mio marito, mia figlia (che si sta dimostrando una viaggiatrice da manuale) e carissimi amici. Ero intorpidita, ma la mia macchina fotografica e la mia attitudine all’organizzazione, un po’ esagerata secondo alcuni, un po’ da perfezionare secondo me, mi hanno aiutata. Risultato? Un sabato e una domenica che non si possono dimenticare.
Sabato mattina il sole, alle sei e mezza era primaverile: colazione rapida, organizzazione delle ultime cose, risveglio di Rebecca, che quando non può dormirebbe fino alla fine dei tempi, e siamo partiti. “Procede di lusso” ho detto a mio maritino e ci siamo incamminati verso Nuoro. Il viaggio l’ho dovuto fare sul sedile posteriore visto che mia figlia per addormentarsi voleva le tenessi la manina, ma tant’è in due ore siamo arrivati a Nuoro e l’avventura è cominciata.
La prima tappa doveva essere, da programma, Fancello, un delizioso negozio di artigianato sardo. Programma rispettato. Entro con la comitiva nel negozio e mi accoglie una signora dall’eleganza antica. Penso immediatamente sia la proprietaria. E’ bella e gentile, chiacchierona come me. Mi mostra delle rotelline per dolci da perderci gli occhi e lo stipendio. Ne ha una quantità infinita, tutte in ottone, dentro una bellissima teca di vetro. Ne compro una favolosa, la n. 17 con in aggiunta delle pinzette che mi aiuteranno a decorare i miei dolcetti, per un totale di 50 euro. Mio marito vorrebbe sentirsi male ma dal mio sguardo capisce che si tratta di qualcosa d’estremamente prezioso. Adocchio pure il prossimo acquisto, un cuore in ottone per dare forma dentellata ai dolci “pintausu” che solo in Sardegna sappiamo (mi ci metto in mezzo in quanto sarda) fare.
Resterei a parlare con quella fata dalle gambe lunghe per un altro paio di ore ma dobbiamo scappare. No! Mi ferma lei visto che mi vuole regalare qualcosa per me e per la bambina. Penso che la mini vacanza stia iniziando proprio nel modo giusto. A Rebi quella Jana dai capelli intrecciati regala una piccola manufica, a me della cioccolata e una sacchetta per la mia rotella, parte del corredo di una buona massaia, come dice lei.
Per salutarla la bacio e voliamo verso uno dei ristorantini più speciali di tutta Nuoro, città che per altro mi si è incastrata nel cuore. La seconda tappa è gustosa come me la ero immaginata. Il ristorante “Maria Giovanna” è piuttosto noto per almeno due motivi: il Filindeu e la Bortigalese. Merita tutta la fama della quale gode. Premetto che il giorno prima (tanto per tornare alla mia totale incapacità di lasciare qualsiasi cosa al caso) ho fatto una telefonata ai proprietari chiedendo se fosse possibile assaggiare questa specialità che non fanno da nessun altra parte se non nella Barbagia di Nuoro. Dopo alcuni pareri discordanti la risposta è stata: ma certo. Mi hanno riconosciuta subito: lei è la signora del Filindeu? – Sì, sono io!
Buono, buonissimo, una delizia che meritava d’essere assaggiata. Il brodo di pecora con formaggio fresco e filindeu (una pasta che somiglia a una rete dalla trama finissima) lo si offriva un tempo ai pellegrini, oggi alle cagliaritane rompi che pregano ristoratori nuoresi di far trovare loro pronta quella specialità. Faccio di più: chiedo se è possibile acquistare la pasta. Il proprietario mi guarda come se fossi matta. Sì, in effetti lo sono. “Non so, forse non ne abbiamo più… è difficile da preparare” – “Ma lei non si preoccupi”. Mi confeziona 250 grammi di pasta che mi vende a 10 euro (epperò) ma dovevo averla a tutti i costi. Non so perché si chiami filindeu, ma somiglia da vicino a fili di dea: una pasta sorprendente. La bortigalese si scioglie in bocca, e il prosciutto che ci propongono io così buono non lo avevo mai mangiato. Paghiamo 35 euro a testa e ci imbuchiamo in macchina. Nuoro la amo anche per il suo clima, freddo ma profumato di artigianato e tradizione. Purtroppo non riesco a visitare la casa di Grazia, ma rimando l’ennesima visita alla prossima. Bono ci aspetta.
Sul tavolo della piccola casetta di famiglia, troviamo savoiardi (sono un tormentone a Bono) e focaccia di gerde (da assaggiare una volta nella vita). Sonnecchiamo, ci riposiamo, qualche visita ai parenti, e poi una bella serata davanti al caminetto organizzando gli spostamenti del giorno dopo: c’erano tre ipotesi di viaggio. Il gruppo ha scelto Samugheo.
La mattina dopo passiamo a casa di una cugina di mio marito per gli ultimi saluti e indovinate un po’? La troviamo intenta a fare il pane: non il nostro pane, il loro pane, il pane fresa. Lei, sorella e madre lavoravano dalle 5 del mattino; noi ci siamo gustati la parte finale delle operazioni: stesura dei dischi rotondi e cottura. La bocca del forno sputava piccole palle di pane gonfie d’aria che per magia tutta isolana si trasformano in dischi di pane croccante e finissimo. Quello che acquisti è buono, ma quello che fai in casa… è tutta un’altra cosa (inizio a somigliare a mio padre!). Salutiamo, io quasi quasi mi sarei trattenuta ancora, ma Samugheo ci chiama. Le borse piene di ricotta fresca (che il giorno dopo è diventata il ripieno per buonissimi angiulottusu), asparagi e pane carasau morbido e croccante.
Hai mai visitato Samugheo? E’ un piccolo borgo immerso nel verde più intenso e smagliante. Sinuose curve che salgono e scendono la separano dalla 131 e quel rallentare, che è d’obbligo, ti consente di gustare il paesaggio che sprofonda nella terra, fra macchia mediterranea e boscaglia bassa e fitta. Ne sei consapevole, ti stai immergendo in un sogno silvano.
Io che non sono un amante del carnevale ho trovato la festa niente male: certo c’erano maschere provenienti da tutta la Sardegna, e il focus non era esattamente sulla tradizione locale, ma su pani friscu e pani untu che abbiamo assaggiato erano deliziosi, le maschere divertenti e il vino davvero buono.
Tornando a casa mi ha preso una certa malinconia, quella che fa delle travel blogger di rientro a casa, delle tristi travel blogger. Al prossimo viaggio!
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Photo Credit: Claudia Zedda
Marzo 1, 2014
Bellissimo resoconto.
Pensa che io ho anche sognato che ci incontravamo da Fancello.
Il marito della signora che ti ha servito (adesso mi sfugge il nome) è un pozzo di sapere in quanto a tradizioni e usanze. Vale la pena andare solo per sentirli raccontare.
Per l’origine del nome de Su Filindeu leggi qui http://www.taccuinistorici.it/ita/news/moderna/cereali—paste/Filindeu-filindeus-filindeos.html le conclusioni di Giovanni Fancello.
Marzo 3, 2014
Grazie! Sì è un posticino fantastico. Se a marzo riesco a ritornarci mi comprerò sicuramente qualche altra cosettina!!! Grazie per il link, l’ho divorato tutto d’un fiato! Ps. sono pure riuscita ad acquistare la pasta… appena superato questo periodo di dieta (sigh) mi cimenterò nell’antica preparazione… A presto Cri, magari da Fancello!