La marginalizzazione della donna nel Carnevale sardo. Una storia di discriminazione e controllo sociale 

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Il Carnevale sardo, il Carrasegare, su Carnevali è un evento collettivo che appartiene a tutti: ai sardi, alle maschere, ai bambini, alle piazze, ai fotografi, ai ricordi. Eppure, a uno sguardo più attento, sembra non appartenere alle donne. Ma è davvero così? 

Qualunque sia il Carnevale che si sceglie di visitare – e in Sardegna c’è davvero l’imbarazzo della scelta – emergono subito alcuni elementi distintivi: sono occhi azzurri maschili che risaltano dal carbone, sono pelli di animale, frastuono, stivali tirati a lucido, corde e campanacci che scandiscono il tempo. È il fuoco che eccita e riscalda, unito al vino che ogni anno celebra il matrimonio con il Carrasegare. A prima vista, tutto sembra rimandare a un universo profondamente maschile. 

Eppure, l’ombra femminile urla nei Carnevali sardi. Questa apparente contraddizione mi affascina da anni. Nei Carnevali sardi la donna è allo stesso tempo presente e invisibile. 

Come racconta Luisa Orrù nel suo Maschere e doni, musiche e balli. Carnevali in Sardegna, la figura femminile è rappresentata, ma quasi esclusivamente da uomini. Solo di recente si notano dei cambiamenti. Perché questa disparità? E quale significato si cela dietro questa apparente esclusione? 

Durante questo articolo, analizzeremo il fenomeno e proveremo a ipotizzarne le ragioni. 

Osservando il Carnevale sardo tradizionale emerge chiaramente una netta discriminazione sessuale nei mascheramenti. 

Tutti i travestimenti disponibili per le donne erano accessibili anche agli uomini, ma non viceversa. Le donne potevano travestirsi proiettandosi nel passato, indossando capi delle madri o delle nonne, oppure impersonando condizioni sociali diverse (le povere potevano diventare ricche e viceversa). In alcuni casi, era concesso loro mascherarsi da uomini, ma senza eccessi teatrali: doveva rimanere una pura esibizione di sé, non un’interpretazione attiva. 

Al contrario, agli uomini erano riservati travestimenti negati alle donne. In particolare, era loro concesso il mascheramento zoomorfo, che conferiva una dimensione selvaggia e istintuale, esclusa invece dal mondo femminile. 

Due aspetti meritano attenzione: 

  • Gli uomini potevano mascherarsi da animali. 
  • Gli uomini potevano mascherarsi da donne, spesso in modo caricaturale. 

L’uomo che veste i panni della donna 

Non solo rappresentavano figure simboliche come sa Filonzana, sa ingrastula, sa panettera, delle quali abbiamo parlato in un altro articolo, (link articolo), ma interpretavano anche ruoli quotidiani tradizionalmente femminili. 

Seppure raramente rappresentassero donne mestruate (del ciclo mestruale si ha sempre un certo timore), si mascheravano volentieri da donne incinte o partorienti, madri con figli, vedove inconsolabili, vecchie, balie, filatrici, setacciatrici, panificatrici. 

Ma perché l’uomo che nei carnevali tradizionali sardi (1800 – 1950) si travestiva da donna suscitava ilarità e intrattenimento, mentre la donna che si travestiva da uomo risultava disturbante? 

Questa distinzione rifletteva una società fortemente patriarcale (1800-1950), in cui il Carnevale non era solo una festa di eccessi, ma anche un meccanismo di regolazione sociale. 

Nel Carnevale, il mascheramento degli uomini in donne non metteva in discussione l’ordine sociale. Era un gioco, una caricatura. Il mascheramento femminile in ruoli maschili, invece, poteva essere percepito come una minaccia all’equilibrio prestabilito. 

Come afferma Eva Cantarella, le società patriarcali temono l’invasione dello spazio maschile da parte delle donne, poiché questo potrebbe mettere in discussione il potere dominante. Questo concetto detto dalla studiosa “Paura delle donne” è espresso in molti dei suoi libri e interventi che ti invito a leggere e seguire. 

L’uomo che si traveste da donna lo fa in modo grottesco e caricaturale, in alcuni casi ridicolizzando la figura femminile. Questo può essere letto come sfogo di tensioni sociali che non mettono in discussione il potere/ruolo maschile, ma che consentono comunque un rilascio di schemi fin troppo rigidi che sono trappole per le donne così pure per gli uomini. 

Per le donne, invece, il travestimento maschile non aveva e ancora oggi non ha la stessa funzione: una donna vestita da uomo non faceva ridere, ma inquietava. 

Nel Carnevale gli uomini potevano interpretare ruoli animaleschi, mostruosi e demoniaci, spesso con una forte componente erotica e provocatoria. Per le donne, la sessualità era più sorvegliata, e mascherarsi da uomini poteva implicare un grado di libertà difficilmente tollerato. 

Forse la marginalizzazione della donna nel Carnevale non nasce come atto di esclusione, ma come celebrazione di un’antica sacralità femminile. 

Molte figure simboliche del Carnevale incarnano la forza generativa e distruttrice del femminile. Alcuni rituali legati alla fertilità e al rinnovamento non funzionavano senza la partecipazione delle donne. 

Indossare una maschera femminile, in origine, poteva essere un modo per incarnare quella stessa forza creatrice, trasformandosi per un giorno nelle vere detentrici del potere generativo. 

Ma con il tempo, questo significato si è perso. 

Un’ultima ipotesi spesso condivisa dagli anziani sardi è che l’esclusione delle donne dai carnevali fosse una forma di protezione. 

Le maschere si espongono a situazioni socialmente pericolose o anche violente. Non consentire alle donne di partecipare sarebbe stato un modo per proteggerle. 

Ma protezione e controllo sono spesso due facce della stessa medaglia. 

Se è vero come è vero che una delle funzioni dei carnevali tradizionali sardi (1800 – 1950) è stata quella di controllo sociale per mezzo della satira, allora la discriminazione sessuale presente nelle sue celebrazioni è perfettamente coerente con questa funzione. 

A causa del passaggio dei carnevali da rito a spettacolo, la maschera femminile, un tempo carica di significato, ha perso la sua connessione con una dimensione simbolico-sacra. 

Ha acquisito in cambio una nuova funzione: quella di controllo sociale e di normalizzazione di una discriminazione sessuale che di normale in realtà non dovrebbe aver niente. 

Riportare in luce significati in parte perduti ci può essere d’aiuto nel comprendere in profondità le nostre tradizioni e qualora necessario reinterpretarle. 

Orrù L. Maschere e doni, musiche e balli. Carnevale in Sardegna. Cuec

Cantarella E. Gli inganni di Pandora. Universale economica Feltrinelli

Zedda C. Le madri del carnevale sardo

Approdondimenti

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