Un racconto scritto per la Box Lolla, un fantastico progetto ideato da Rafaela e Sonia.
Istruzioni per l’uso
Trova un posto tranquillo, sotto un albero o sul tuo divano preferito. Magari nel tuo angolo domestico prediletto. Se ancora non sai qual è, ti aiuto a scoprirlo.
Dedicati trenta minuti e inizia a girovagare per casa lasciando libera la mente da qualsiasi pensiero. Il tuo istinto ti porterà lì, dove le buone energie si intrecciano e interagiscono positivamente con te. Ecco il punto perfetto nel quale leggere questo racconto è quello.
Ricorda: mantieni aperti tutti gli occhi che hai! Quelli sul viso e quelli dell’immaginazione. Ti aiuteranno a immergerti nella magia del racconto, che in gran parte trae spunto dalla tradizione popolare sarda.
E’ tutto vero: i nodi in Sardegna sono magia e chi annoda può rendere possibili un sacco di cose. (Per approfondire visita questa pagina)
I brebus esistono e quello che ho inserito in questo racconto è stato cantato per un sacco di tempo dalle bambine, adulte e vecchie in onore alla luna.
Le janas esistono, certo che esistono: e se le sai chiamare con il giusto ritmo e con un buon intento, saranno da te in men che non si dica. (Per approfondire vista questa pagina)
Ed infine le lorighittas: la leggenda è semola del mio sacco, ma in cuor mio sono sicura che siano state le janas ad insegnare la tecnica di realizzazione di questa pasta speciale, alle donne. D’altronde un antico mito dice che tutto quello che le donne di Sardegna sanno fare di bello, sono state proprio le janas a insegnarlo.
Gli orecchini delle janas
Questa è una storia vera per davvero, come è vero che di notte la luna brilla in cielo. E la luna in questa storia ha il suo ruolo, possiamo pure dire che senza luna questa storia nessuno avrebbe potuto raccontarla, perché senza luna non sarebbe mai accaduta.
La protagonista è una jana, ma una jana speciale, di quelle che hanno un nome e forse anche un cognome. E le janas, che pure un nome ce lo hanno tutte, non amano rivelarlo. Perché a conoscere il nome delle fate sarde le si può chiamare in ogni momento, e scoprirete che quelle creature incantate amano la vita tranquilla e non apprezzano di dover correre a destra e a manca.
Ma Zirchiriola era diversa. Da tutte. Era colorata come un arcobaleno, e proprio quando un arcobaleno incontrava un laghetto sacro o un pozzo antico, lei si mostrava e aspettava, aspettava, aspettava.
Non lo sapeva nemmeno lei cosa aspettasse, ma Zirchiriola aspettava e cantava. Cantava e filava. Filava e tesseva. Tesseva e legava.
Un giorno, dopo un pesante temporale che aveva scosso le ossa bianche di Mamma Sardegna, quel velo che la proteggeva e la nascondeva agli occhi del mondo cadde, e lei a eguale distanza da un pozzo sacro e un colorato arcobaleno, si mostrò. Sapeva che la sua permanenza nel mondo degli umani sarebbe durata il tempo di un arcobaleno e quindi non si curò del luogo nel quale era comparsa. Intrecciava fra le mani fili colorati raccontando una storia che nel mondo sarebbe diventata reale, perché le janas fanno anche questo: intrecciano, e intrecciando fili creano vita.
Intrecciava e cantava, cantava e sorrideva, sorrideva e sognava. Ma quel giorno accadde qualcosa che nemmeno Zirchiriola, la jana dell’arcobaleno, avrebbe potuto prevedere. Sentì tintinnare nelle sue orecchie unu brebu antico. Se tu che leggi non sai cosa sia unu brebu, ebbene rimediamo subito.
Si tratta di un insieme di parole fiorite e belle, che se pronunciate con il giusto ritmo e il corretto intento, possono far magie. C’è chi le dice parole miracolose, chi le dice parole di potere, c’è chi le dice semplicemente parole. Perché tutte le parole sono miracolose e di potere, è che spesso, pronunciandole, sbagliamo il ritmo o l’intento. E allora volano via senza sortire alcun effetto prodigioso.
Quelle parole però erano recitate con ritmo e sentimento, e lei, la jana dell’arcobaleno, non potè far altro che rispondere.
Su brebu suonava più o meno così.
Sa luna noa/ sana m’accates,/ sana mi lasses/ chin dinare in bùssia/ e trigu in sa cassia,/ forte che ferru/ lenta che chervu.
Tutte le janas sono parenti strette della luna, e quando la luna è invocata loro devono rispondere. Così avvenne per Zirchiriola, la jana più prossima a quel richiamo.
Zirchiriola si trovò presto trasportata in una cucina piccola e scura, che brillava di rame, ferro, e di pochissimi raggi di luna nuova. L’unica presente era una donna alta e secca, che l’aveva invocata senza sperarlo, con le mani sporche di semola e acqua.
L’una, eccitata dal richiamo e l’altra, sorpresa per la richiesta esaudita, si studiarono a dovere.
<<Non ho tutta la sera, potrò star qui il tempo di un arcobaleno. Dimmi dimmi. Perché hai cantato alla luna?>>. Quella che si chiamava Filomena iniziò a balbettare qualcosa che aveva a che fare con dei soldi, della semola ed il mercato. Si scoprì che Filomena era una maista pastaia che aveva perso la creatività e anche i clienti, e proprio quella notte per ritrovare la fortuna e l’intuito, aveva richiesto aiuto alla luna. La luna non si era presentata, ma Zirchiriola sì.
<<Aiutami! Ho bisogno di un’idea che mi regali ancora sicurezza in me>>.
Zirchiriola iniziò a pensare, pensare e pensare e mentre pensava attorcigliava i tre lunghi fili di lana che le erano rimasti in mano. Annodare in Sardegna, in pochi lo sanno, è arte magica fra le più antiche. Le stesse tessitrici sono antiche fate e quando tessono, creano storie, intrecciano vite.
D’un tratto la fata si fermò vedendo gli intrecci che sovra pensiero aveva creato con le proprie mani e ritenne che fossero davvero graziosi. Per cui decise di mettere su pasta l’idea, creando quelle che un giorno Filomena avrebbe chiamato lorighittas, orecchini.
Creò un lungo filo di pasta di semola dura, bianco come la luna. Lo annodò per tre volte fra l’indice ed il medio e con l’aiuto del pollice intrecciò quei fili che sembravano di lana ma erano di semola.
Il primo tentativo venne male, il secondo tentativo venne meglio, il terzo tentativo fu perfetto.
<<Sembrano orecchini>> – esultò Filomena che già aveva ben osservato la tecnica e la faceva propria.
<<Orecchini di luna…>> – disse fra sé e sé.
<<Di jana direi, orecchini di jana>> – la corresse Zirchiriola. <<Ma affinché la tua pasta sia non solo bella e buona, ma anche incantata e magica tieni a mente questo: tutte le volte che intreccerai la semola come fosse lana, mantieni forte in te l’intento e vedrai che tutto ciò che avrai in mente, si potrà realizzare>>.
Filomena annuì e senza pensarci legò quella pasta ad un intento che non poté più abbandonarla: di stupire tutti quelli che da lì in poi avrebbero osservato le lorighittas e di mettere il sorriso fra i denti di tutti quelli che avrebbero mangiato un piatto di orecchini di jana.
Claudia Zedda
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