Maria Lai l’ho riscoperta per caso. Dico riscoperta perché in realtà in pochi non la conoscono, ma pochi la conoscono per davvero. Insomma un gioco di parole che rischia di ingarbugliare il discorso. La faccio breve. Mi sono innamorata della sua voce, dei suoi racconti, dei suoi occhi.
Dopo averla ascoltata per meno di 10 minuti, mi è venuto in mente che dovevo scrivere qualcosa su quella donna. L’ho fatto.
“Sono seduta nel divano. Mia figlia è addormentata, gli uccelli canticchiano fuori casa e io li sento nonostante le finestre mezzo chiuse e mezzo aperte. Qualche macchina attraversa una strada vicina senza fretta. Io un po’ per caso un po’ per nostalgia di una voce che non conoscevo ma sapevo avrei dovuto ascoltare, incappo in una vecchia intervista fatta a Maria Lai. C’è nei suoni di quella voce anziana un non so che di instabile e tremulo, una dolcezza materna e un’estrema consapevolezza di sé e della sua terra. La invidio ma non ho fretta di raggiungerla. C’è in quella voce antica la genetica vocazione al racconto. C’è in quella voce squillante e pacata, calma e rigore, il presupposto per la creatività. La ascolto, la ascolto, la ascolto. Con gli occhi, con le orecchie, con i sogni e ne vorrei ancora. La nostalgia di quella voce che non conoscevo ma sapevo avrei dovuto ascoltare è ancora qui, fra le orecchie, il cuore e il sogno e io prego la Dea che ancora resti, per sempre di lei la nostalgia”.
Tutto è cominciato un po’ per gioco un po’ per destino. Molto tempo fa mi capita di dare uno sguardo al lavoro “Janas. Storie di donne, telai e tesori”. Penso che devo comprare il documentario perché lo devo avere. Due settimane fa per questioni di lavoro conoscono una delle ideatrici. Giorgia è una persona carinissima: ci siamo scambiate frammenti creativi, io i miei, lei i suoi. Sulla rivista Antas il giorno stesso compare un mio articolo intitolato a Chiara Vigo. L’articolo precedente è invece dedicato al progetto “Janas”. Mi convinco che non sia un caso. Inserisco il cd sul pc e mi gusto il documentario (ne parliamo la prossima volta). Riscopro Maria Lai.
Mi innamoro di quel donnino piccolo come una capretta, forte come una pietra di montagna.
Maria Lai mi fa riscoprire Giuseppe Dessì. Giuseppe Dessì involontariamente mi racconta una storia sulla nascita delle Janas mai sentita prima. Lo fa con la voce di Maria Lai. Quando la sento raccontare mi commuovo. Penso che questa leggenda moderna la debbano conoscere tutti. Per farlo la metto qui. E’ un po’ come un segreto, è un po’ come una carezza, è un po’ come un consiglio. Leggila.
C’era una volta un dio che volava nell’infinito da un tempo eterno. Era onnipotente ma anche molto annoiato. Gli sembrava che il massimo della felicità fosse nell’avere desideri. Per questo inizia la ricerca della Terra e dell’uomo, perché sa che l’uomo è l’unico in grado di sognare l’impossibile.
Ma, una volta trovata la Terra, scopre che l’uomo non ha imparato a sognare. Il pianeta è popolato come di un brulichio di formiche: gli uomini si combattono e cercano di complicarsi la vita in tutti i modi, ma non hanno imparato a sognare. Tutto fanno fuorché sognare.
Allora il Dio convinto dice: “Sarò io il primo uomo a sognare”. Cerca sulla terra un luogo disabitato dove vivere solo e lo trova in una piccola isola a forma di piede. E’ la Sardegna.
Quest’isola è ancora selvaggia, piena di pietre. Il Dio si concentra e si fa uomo, ma sceglie di farsi già vecchio, perché per avere dei desideri bisogna vivere con fatica.
L’isola gli mette a disposizione sassi e sugheri e uno sciame di api che lo seguono ovunque. Lui capisce cosa ha a disposizione, lo assembla e con semplici arti umane costruisce il primo alveare, risolvendo così il problema della fame.
Un giorno, addormentato, il Dio viene disturbato da un’ape. Con un gesto della mano involontario cerca di allontanarla, lasciandosi però sfuggire una scintilla di potere divino. Cosi tutto lo sciame si trasforma in una tribù di piccolissime divinità femminili. Nascono le Janas.
Conquistano la dimensione umana giocando a fare le donne, ed essendo per natura profetesse sanno che le donne, quelle umane, presto sbarcheranno sull’isola.
Intanto scavano case nella roccia e le arredano giocando a fare le donne come le bambine giocano a fare le signore.
Un giorno all’orizzonte arriva la prima imbarcazione umana. Arriva uno strano popolo. Non si sa bene da dove arrivi, è un popolo rude, selvaggio, un popolo di guerrieri. Le Janas si interessarono subito alle donne e volando intorno alle loro teste le convincono a lasciare il lavoro pesante agli uomini.
E cosi finalmente le donne entrano nel mondo delle Janas, dove imparano a filare e a tessere sui telai preparati dalle fate che essendo state api avevano innata una geometria genetica. Per questo i telai erano costruiti con estremo rigore e precisione. Le donne in unione con le Janas avevano portato una qualità essenziale: la pazienza. E allora rigore delle Janas e pazienza delle donne divennero condizione ideale per la nascita della creatività.
E’ così che sono nati i tessuti delle donne sarde che erano popolati e lo sono ancora oggi di immagini ritmiche e simboliche.
Silenzio.
Fonti:
Leggenda del Sardus Pater – Giuseppe Dessì
Maria Lai: Inventata da un Dio distratto di Marilisa Piga e Nico di Tarsia (video)
Photo Credit: Frederick Little Packer
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