Il pane in Sardegna è una cosa seria.
Avere pane nella Sardegna di ieri significava senza mezzi termini sopravvivere alle stagioni, ma avere sulla tavola pane decorato significava garantirsi fortuna e buoni auspici.
Non si spiegherebbe altrimenti tutto il lavoro che le massaie assicuravano al pane. E non mi riferisco semplicemente alla fase dell’approviggionamento dei materiali, lavorazione, all’impasto, all’attenzione per la lievitazione. Mi riferisco anche alla grande attenzione riservata alla decorazione. A casa mia non si è mai perso troppo tempo a decorare, né i dolci, né il pane. L’uno e l’altro dovevano essere buoni, belli il giusto tanto e per confezionarli non si doveva spendere né troppo denaro né troppo tempo.
Nonna Piera è così, sbrigativa, che le cose belle si guardano, le cose buone si mangiano. Sarà per questo che crescendo ho trovato belli di una bellezza inviolabile i pani e i dolci sardi, quelli decorati, quelli che localmente dicono pintadi o frori(d)usu (letteralmente pitturati o fioriti).
Sa linna pintada
Di stampi per il pane, in Sardegna ce ne sono di ogni forma e tipo. Il supporto sul quale sono costruiti è quasi sempre lo stesso: il legno. Sa linna che viene lavorata in questa maniera si dice pintada o frorida.
Normalmente si sceglieva il legno di pero, il perastro o il ginepro e a lavorare questi piccoli gioielli, inaspettatamente belli, profumati di selvatico e primordiale erano i pastori. Non è un caso che le forme più ricorrenti di questi marcatori per il pane siano i cuori, meglio se fiammati. Si trattava di uno dei primi regali che l’uomo faceva alla donna.
L’uomo intagliava l’oggetto con l’uso del solo coltello, dimostrando in questa maniera non solo il proprio amore per la donna, ma pure la propria abilità, e in Sardegna l’abilità per lungo tempo è stata tutto.
Ovviamente i simboli e le forme dei marcatori del pane (che fra le altre cose hanno antecedenti illustri in epoca nuragica. Ti dico pintadera e non aggiungo altro) erano numerosi.
I decori avevano tutti un significato, fosse esso religioso, scaramantico o funzionale. In alcuni casi ad esempio il pane si marcava con le iniziali della proprietaria di casa. Non si trattava di ostentazione o egocentrismo: il simbolo tornava utile quando il pane si cuoceva in forni comuni. In altri casi era incisa sul timbro la parola “Ricordo” a segnalare il fatto che il timbro fosse stato donato, in altri casi veniva inciso un JHS con croce e chiodi a rappresentare la passione di Cristo e l’ordine Gesuitico. In altri casi la presa recava una caratteristica manufica dal valore squisitamente scaramantico.
Non solo il pane, ma anche la padrona di casa che riceveva in dono il timbro, dovevano essere protetti. D’altronde le mani delle donne erano sacre, preziose, capaci di mettere insieme semola, acqua e sale in maniera che ancora oggi lascia a bocca aperta.
I timbri: dove puoi trovarli
Ho cercato a lungo un artigiano che potesse accontentarmi. Hai dubbi che sia riuscita a trovarlo? Quando entro in fissa con un oggetto non c’è santo che tenga: devo averlo. L’ho avuto, la Dea salvi la mia testardaggine. L’artigiano che si è prestato alla produzione si chiama Antonello, è un Maestr’è linna (ossia un maestro che lavora la legna). Lavora con il padre, Maestr’è linna lui pure. Creano timbri sinuosi, scavati di mille sfaccettature, antichi, rispettosi della tradizione, belli di una bellezza che devi possedere.
Padre e figlio, con bottega e timbri sono a Pirri nella caotica Piazza Italia.
Fonte: Legni – Ilisso
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