Nella zona più settentrionale dell’isola, nell’area dialettale della Gallura e del Sassarese la strega è conosciuta con il nome di Stria. E’ interessante notare che nella medesima maniera viene chiamato anche l’animale notturno che la tradizione latina prima e sarda poi, hanno rivestito di significati profondi einquietanti, il barbagianni. Rapace notturno, portatore di malaugurio e tristi novelle, il barbagianni può, semplicemente sorvolando i tetti, far ammalare i sardi di un male tremendo, sa istriadura, meglio nota come itterizia.
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Plinio era certo che se il cuore di un barbagianni fosse posto su quello di una donna (sulla mammella sinistra), questa non si sarebbe potuta esentare dal raccontare i propri segreti, e che se un guerriero avesse portato la piccola reliquia in battaglia, si sarebbe dimostrato ancor più valoroso.Ma quello che maggiormente incuriosisce è che secondo la tradizione latina la strige (barbagianni) era solito posarsi sulle culle dei neonati e suggerne il sangue, così come in Sardegna farà la strega, o avvelenarli allattandoli con le proprie mammelle. Solo più tardi si sarebbe scoperto che il rapace ne era privo in quanto non mammifero. E’ lenta l’evoluzione che porta il barbagianni a trasformarsi da rapace notturno a creatura nella quale alcune donne maliarde si mutavano per suggere il sangue ai neonati.Queste stesse streghe vennero dette poi sagae dai latini.
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La tradizione sarda vuole che sa stria, in tutto similare alle proprie cugine campidanesi, dovesse spalmarsi su specifiche parti del corpo (talloni e ascelle) un misterioso unguento,della cui miscela, tanto segreta si sa ad oggi poco o niente. Grazia Deledda annovererò fra le erbe con probabilità usate da sa stria per la creazione del potente olio, il giusquiamo, anticamente detto apollinaris e usato dall’oracolo di Delfi per entrare in contatto con Apollo, mentre ricorrenti in alcune leggende tornano le bacche di gineproe la peonia, nota appunto come Orrosa ‘e cogas, la rosa delle streghe. Sembra che l’unguento, custodito gelosamente dalle sue proprietarie, abbia la capacità di confinare in uno stato di trance la donna, l’aiuti nel volo e nella metamorfosi.
Volano senza scopa le streghe sarde, e veloci come il vento riesconoa raggiungere la dimora nella quale pacifico dorme un pargolo non battezzato. Un ora per andare, un ora per svolgere il proprio incarico, un ora per rincasare. Ciò significherebbe secondo i calcoli di Atzeni che la strega agirà nell’arco delle tre ore antelucane. La preziosa formula che la tradizione vuole che ripetessero suona più o meno così “A Pili in esse, a pili in fache, in domo de comare, mi che agatte -> Con i capelli in senso contrario, con i capelli in faccia, che io possa ritrovarmi in casa di comare.”
Per avvantaggiare il proprio ruolo, il destino vuole che queste si possano mutare in creature animali, un pò come succedeva per la strega latina che prendeva forma di barbagianni. In Sardegna è più comune che la strega prenda forma di mosca, insetto, gatto, gomitolo, filo o fumo, ma sa stria non si priva di nulla e non mancheranno nemmeno le metamorfosi in volatili notturni. E’ sotto queste false spoglie che la strega s’insinuerà nella dimora della puerpera, attraverso il camino, magari scivolando da una finestra lasciata sbadatamente aperta, o attraverso la serratura.
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