Non è per caso o per la buona jana che dal primo mio respiro ha scelto di “affatarmi” bene e mi segue. Non è nemmeno grazie a Vega, la mia buona stella, ma solo per destino e per la mia impetuosa volontà sommata a quella di Simona e Sabrina dell’Agri residence Sole d’estate se ieri pomeriggio ho potuto riportare Janàsa a casa sua. Casa sua si trova a Cuili Piras, una aggregazione di pietre antiche che vegliano sulla Sardegna e sul mare, da millenni.
La prima volta che ho visto il luogo l’ho trovato tanto suggestivo che mi ripromisi di inserirlo in uno dei miei libri, se mai sarei riuscita a scrivere un romanzo. Ci sono riuscita: a fare l’uno e l’altro intendo. E ieri ho riportato Janàsa a casa.
Virginia de L’Amuleto lì, in quella valle incantata trova il diario della zia e lì Janàsa trova riparo e fonda la sua comunità. Credo che quel luogo rimarrà un polo d’incontro per le protagoniste di molti dei miei libri.
Ieri ero vestita di rosso e nero, con i piedi quasi nudi. La vegetazione secca li ha graffiati abbondantemente ma io non ho sentito dolore. Ho toccato tutte le 53 pietre, risvegliandole. Se avessi avuto più coraggio mi sarei dipinta anche le chevron in fronte, forse, per confondermi con le pedras fittas, per dichiararmi come le sacerdotesse di Ikussa.
Alle 17,30 ci siamo seduti sotto l’ombra di una piccolo olivastro, immersi fra i campi di orzo, avena e grano che brillavano del sole catturato durante il giorno, e abbiamo letto e parlato. Io le ho sentite le pietre che si svegliavano. Spero che tutti i presenti abbiano fatto lo stesso.
Nel cuore per sempre l’immensa gioia di aver riportato Janàsa a casa sua, in compagnia di amici vecchi e nuovi che hanno reso la serata incredibilmente dolce, di quelle che per niente al mondo potranno essere strappate dal mio cuore.
Sì mi è piaciuto. Ripeterò questa esperienza in molti altri luoghi che hanno visto Janàsa e le sue sorelle protagoniste.
Ringrazio i presenti per l’infinita pazienza, Simona e Sabrina dell’AgriResidence Sole d’Estate, Muravera e la manifestazione Monumenti Aperti. E’ stato bello. E’ stato bellissimo.
Grazie soprattutto alle pietre che da millenni vegliano su di noi. Siamo solo un battito di ciglia per gli antichi menhir, ma prego che ieri, durante quel breve battito ci abbiano sentiti e abbiano sorriso. Tornerò. Continuerò a cantare di voi.
Per le foto devo ringraziare Daniele Mulas, Tatiana Simbula e Sara Mallus. Stupende.
Le letture tratte da Janàsa ed. Condaghes
Fra le letture effettuate durante l’incontro, voglio condividere questa con te.
La prima volta che Or aveva visto le pietre che danzano
soffiava un vento gelido, e lei, avvolta in un mantello di lana
ruvida, lungo fino alle caviglie, dotato di un colletto rigido e
ben legato agli avambracci da strisce di giunco, si era lasciata
guidare da Nabìl.
Avevano seguito la regina senza trono tante piccole donne,
silenziose e impaurite. Avevano ricalcato il sentiero delle
pietre bianche, stirato dal vento e parzialmente invaso dalla
vegetazione. Quel filo di terra chiara tagliava in due la collina:
la natura per accoglierlo si apriva, come fosse acqua lei e vento
il cammino. Nabìl non aveva avuto esitazioni indicando la strada
alle piccole compagne e mostrando quell’ulivo che cresceva ai
bordi del sentiero, quella pietra che nella forma ricordava un
trono, quel piccolo cespuglio spinoso e quella tana sotterranea,
covo di qualche animale selvatico. Le donne non avrebbero mai
dovuto dimenticare quel percorso, dovevano essere in grado
di ritrovarlo anche al buio, cieche, sole, in fuga. Quel luogo
era sacro, lì viveva la Vecchia Madre. Quando riuscirono a
raggiungere la radura, protetta da una collina di rocce levigate
e bianche, tutta nicchie e piccole caverne, Or aveva le guance
pallide, le labbra secche e gli occhi vivi.
Quelli erano antichi luoghi di culto, di sepoltura, di guarigione,
di divinazione, di rinascita.– Ascoltate. – Era stata solenne, Nabìl. Aveva chiuso gli
occhi, respirato forte, ed era rimasta immobile, simile per lunghi
attimi a una pietra del luogo. – Sotto queste rocce si nasconde
il cuore della Grande Madre. Respiratene il battito.
Quella notte sarebbe stata fredda. Una falce di luna cresceva
lentamente. Nabìl, segnata sulla fronte da tre V che si
congiungevano all’attacco del naso, aveva finto di prendere con
un palmo il sole, con l’altro la luna congiungendoli poi sopra
il capo, e aveva sorriso a occhi chiusi, baciando le mani e la
terra. Aveva raccontato infine alle piccole donne, ora silenziose,
che a danzare non erano le pietre ma le ombre, e che in base
alle ore, alle giornate e alle stagioni quelle potevano parlare
indicando i momenti della semina e della raccolta, i punti della
terra dove l’energia fluiva più forte, dove i fuochi si sarebbero
dovuti accendere, dove le offerte si sarebbero dovute lasciare,
dove ci si sarebbe dovute unire con un uomo. Quel luogo, con
quelle pietre tutto intorno, era un calendario creato dagli antichi,
e tutte le figlie della vecchia religione dovevano conoscerne i
segreti. Lì in quella vallata onirica, protetta da una rocca di
verde, pietra e cielo, Terra parlava alle sue sacerdotesse e lei,
Nabìl dell’antico culto, insegnava loro ad ascoltare.
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