Tutto è cominciato con le streghe. Ai tempi ancora non sapevo che le streghe di Sardegna hanno molti nomi: sono cogas, le donne che mescolano ingredienti in cucina, sono le surbiles, le donne che suggono il sangue, sono is strias, le donne che durante le ore antelucane mutano forma e volano altrove.
Avrei scoperto tutto, di lì a breve.
Quando tutto è cominciato non sapevo nemmeno che le streghe sarde sono vampiresse. Ai tempi lessi che si nutrivano di sangue umano per vivere. Oggi so che le cose non stanno esattamente così: ma questa è un’altra storia. Ne parleremo a lezione, a breve. Sappi che la strega, anche in Sardegna, è archetipo antico di quella femmina che è creatrice e distruttrice. Per approfondire visita questa pagina.
A 27 anni entrai nella stanza della mia docente di tradizioni popolari: si trovava in fondo ad un corridoio giallo e poco luminoso. Non potrò dimenticarlo mai. Si doveva superare l’aula di antropologia culturale, etnologia, etnografia e poi c’era l’aula di Anna Lecca: tradizioni popolari sarde.
Le dissi che mi sarei voluta laureare parlando di streghe sarde. Mi disse che era una follia: c’era poco materiale e nel 2007 non c’era speranza che quel materiale aumentasse.
Nonostante tutto riuscii a convincerla. Anzi mi diede qualche mese per farlo. E ci sono riuscita, ma anche questa è un’altra storia.
Tutto è cominciato con le streghe ed è proseguito con le janas. Mi sono entrate negli occhi, mi sono entrate nella testa, mi sono entrate nel cuore.
E lo hanno fatto perché hanno qualcosa da dare e da insegnare alla società odierna. Sono funzionali alla nostra sopravvivenza in questa Sardegna. Sono funzionali alla sopravvivenza di questa Sardegna.
Sono uno dei profili della stessa figura della quale da millenni parliamo, senza averla mai compresa per davvero. Sono profili della Dea Madre che in un mio libro ho chiamato Ikùssa.
Quella che noi oggi chiamiamo strega è l’aspetto ombra della Dea Madre: la divoratrice. La strega è legata alla morte. Ma badate bene, nel mito la morte non è mai fine a se stessa, ma funzionale alla sua rinascita.
Le janas sono un profilo più luminoso della Grande Madre. Si collegano alla vita soprattutto, alla nascita, alla tutela, alla maternità, eppure non si esimono dal dovere di portare equilibrio qualora sia necessario. E loro pure per farlo distruggono e restituiscono alla vita.
Le janas dormono e ballano in ciascuno dei miei libri, e oggi cerchiamo di scoprire qualcosa di più su queste figure.
Partiamo dal primo libro del quale ti parlerò: L’amuleto.
Dopo aver scritto la mia tesi di laurea e aver pubblicato un saggio di ricerca mi sono chiesta se realmente questo mondo favoloso che avevo scoperto potesse funzionare nella società moderna, se questo pantheon mitico potesse essere funzionale all’evoluzione della nostra comunità.
E così ho scritto l’Amuleto.
Virginia è la mia eroina e il suo viaggio la porterà a quella che Jung direbbe individuazione del sé. Virginia alla fine del romanzo ha capito: chi è, e per quale motivo è qui. Le janas l’hanno aiutata a capire e a ritrovare la zia, scomparsa.
- Con questo anello io ti sposo – la voce di lui risuonò tremula e giovanile all’interno di quel covo di topi e donnole, riscaldata dall’emozione e da un fuoco che ballava timido, solo per loro due. Le mise l’anello intrecciato con del salice nell’anulare, baciando i palmi morbidi di quelle piccole mani dalle unghie pallide.
- Siamo sposati davanti alle janas Luxia, ora e pre sempre.
- Hai ragione! Dopotutto ora abbiamo la protezione delle fate. Ci avrebbero fermato se non fossero state d’accordo.
Qui si notano almeno due aspetti delle janas: sono natura, vivono nella natura. Dormono nelle domus de janas e nei boschi e questo fa desumere una certa capacità di sopravvivenza e una certa indipendenza. Ma soprattutto sono veggenti. Conoscono il nostro futuro, conoscono il futuro di Ilario e di Luxia e se non fossero state d’accordo al loro gesto, li avrebbero fermati.
Questo tratto nel mito si traduce nell’immagine di janas tessitrici, che con la loro arte creano realtà. (Puoi approfondire qui).
Rebecca e le janas è un altro libro nel quale la figura delle janas ricorre frequentemente.
Poco distante dalla casa della donna percepì un caotico frastuono è un profumino di brodo e di carne che le sembra davvero invitante. Accelero il passo ma prima di bussare alla porta sbirciò dalla finestra: quella piccola donna era in compagnia di poche amiche, tutte della sua stessa statura. Una ricamava ma senza tenere in mano lago che andava come per magia da solo mentre lei aveva sul grembo il ricamo e parlava con l’amica. Una cantava e intorno a sé era come se galleggiasse un pulviscolo d’oro mosso dalla melodia incantata. C’era una piccola donna che girava il brodo ma lo faceva con un mestolo magico; di tanto in tanto lo lasciava per chiacchierare con l’amica che le stava alle spalle ma lui non cadeva amica: no di certo! Continuava a girare nella pentola. Una donnicciola piccoletta curava il fuoco una tessera con un telaio interamente d’oro, l’amica impastava senza faticare, e l’ultima, la più anziana di tutte guardava in uno specchietto piccolo e tutto d’oro e d’argento, ricco di pietre preziose, che gareggiava nell’aria.
Qui si nota un altro carattere importante delle janas: sono interdipendenti. Fanno rete, fanno comunità, si autosostengono. Di rado si parla delle comunità delle janas, lo si dovrebbe fare più spesso. Inoltre si comprende che siano custodi di tesori. Tesori non convenzionali e immateriali: parliamo di competenze e conoscenze. Questi tesori presto verranno distribuiti alla piccola protagonista che verrà iniziata a molte materie di studio diverse. Sono delle vere e proprie maiste, maestre.
In Rebecca, le janas, e il carro di Nannai risulta chiaro che siano madrine, magiche, ma soprattutto signore del tempo.
Si destò con tutta calma dal suo nascondiglio. Era aggomitolata come la più morbida delle lane e per tanti anni in molti l’avevano scambiata per una pietra.
- Oh Virginia dolcissima, ma come cresci in fretta amore di Jana! – disse dopo essersi lungamente stiracchiata.
- Sei tu la mia jana madrina? – chiesa la bambina con una certa timidezza che non riusciva però a frenare la sua curiosità. Tant’è che non resistendo all’impulso si avvicinò per toccare con il ditino se quella creatura fosse vera per davvero, provocando un certo vago solletico alla fata che ridacchiando e stiracchiandosi, sbadigliando e allungandosi finalmente si presentò con un inchino alle altre.
- Certo che lei! Ma ti è capitata la più pigra e dormigliona che ci sia in tutta l’isola – puntualizzo Chìriga indispettita.
- Pigra ma va là! Per quanto tempo vuoi che abbia dormito!
- Quattro anni – disse la bambina con un filo di voce mentre ritirava i capelli che sì, erano attaccati alla testa come i suoi.
- Ahi! – Brontolo la fata sorprendendosi poi di quanto la bambina diceva.
- Quattro anni? Hai già compiuto 4 anni? – ripete sorpresa Mandronedda. Poi stette zitta per un momento, si scosse dal grembiule i licheni arancioni che erano cresciuti con gli anni sulle sue vesti e sgranchì la testa facendo cadere del terriccio e qualche pietruzza.
Ogni bimba e bimbo in Sardegna, fin dalla nascita ha affidata la sua jana madrina, racconta la leggenda. E pure si dice che il tempo delle janas scorra in modo diverso rispetto al nostro: loro hanno fra le mani l’antica arte di modificare le trame del tempo. E questo è uno dei tratti delle janas che torna anche ne Il Ricettario delle Janas.
Qui sono soprattutto maestre custodi fra le altre cose dell’arte del tempo e della saggezza della cucina.
In compenso in Sardegna la donna, attraverso la preparazione di dolci e pani ha ricevuto dalla comunità un ruolo sociale importantissimo: regolatrice e custode del tempo proprio come le janas. Il tempo scorre al ritmo delle sue preparazioni. I dolci erano e sono in grado non solo di ordinare il tempo ma anche di crearlo: si pensi alla capacità della frittura dolce da sola di evocare il tempo del carnevale.
Ed infine Janàsa, la storia di 7 giovanissime donne delle quali mi sono servita per mettere in romanzo una possibile modalità di creazione del mito presente in tutta l’isola.
Un saggio, mi sono detta, sarebbe troppo noioso (poi mi sono ricreduta visto che ci sto lavorando proprio ora), ma un romanzo, una storia, quella potrebbe arrivare al punto con maggiore forza.
Le sette sacerdotesse rosse sono tutto quello che le janas, nelle leggende sono: indipendenti ed interdipendienti, sono natura, domano gli elementi, sono madrine, sono veggenti e tessitrici, sono maestre, sono ricche e potenti di ori e di saperi, sono vita e sono morte, sono soprattutto maestre.
Una storia che è narrata ad una giovanissima Piera da Annita. Loro sono più vicine temporalmente a noi, ma scoprirete che anche Janàsa e le sue sorelle si fanno intendere facilmente, nonostante i millenni che ci separano.
Annita spiegherà a Piera che il mito delle janas è importante non perché locale o perché legato al territorio. E’ importante perché veicola saperi antichi che consentono all’uomo di vivere meglio e più pienamente la vita in questa strana, magica e meravigliosa terra.
Testo scritto in occasione del Festival letterario: Le radici e le Ali.
A seguito di questo mio intervento Alessandra Usai e Nicola Menunni hanno raccontato il progetto Janasa su pellicola e hanno proiettato il bellissimo teaser tratto dal libro: un assaggino di quello che sarà il film.
A breve news sulle prossime proiezioni.
Grazie agli organizzatori e alla bella location de Sa domu de farra.
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