Pesare su mortu: il legame invisibile 

Ti sei mai chiesta perché in buona parte del mediterraneo ai bambini venisse affidato il nome di una nonna o di un nonno? Di una zia o di un parente prossimo?  

La risposta più ovvia e meno interessante ricevuta è stata: “Per il mantenimento della tradizione e per rispetto dei nonni”.  

Ma tu ormai mi conosci: questo genere di risposte non mi bastano. Per cui ho letto, guardato oltre il mediterraneo, ipotizzato, escluso e concluso. E le conclusioni ottenute mi hanno lasciata a bocca aperta.  

Partiamo da casa: partiamo dalla Sardegna.  

A casa mia la mia gente usava farlo, ieri più che oggi. Si dava al nuovo nato il nome di un nonno, di una nonna o di un parente prossimo, a patto che questo fosse defunto.  

È una pratica carica di significato, ma quando il significato è stato dimenticato è subentrato il rispetto e il desiderio di memoria.  

Ci si augurava che il bambino o la bambina che portavano il nome dell’antenato avrebbero ereditato dall’antenato stesso qualità e saggezza

Era inoltre un buon modo per mantenere viva la memoria familiare e rafforzare i legami con il passato: tutti motivi che sottostanno al culto degli antenati così presente in Sardegna e nel Mediterraneo in genere.  

Di rado mi è stato detto che il bambino/a che riceveva il nome di un antenato da questo avrebbe ottenuto protezione, anche se in passato forse l’intento era quello (vedi Il nome dell’antenato nel mondo

In Sardegna d’altronde abbiamo una figura votata a questo genere di protezione, che compare quando un bambino e una bambina nascono. Quella figura si chiama jana e pare essere in grado di afatai beni o mali (determinare o prevedere il futuro positivo o negativo) del nuovo nato. E se ci pensi bene le janas hanno molto a che fare con il mondo degli antenati. Ma di questo ti racconterò altrove. 

Quello che qui ci deve interessare è che l’usanza di offrire alle nuove generazioni il nome delle vecchie antenate/i ci consente di individuare un elemento antropologicamente interessante: gli antenati, finché ricordati, hanno un ruolo fondamentale nella trasmissione di valori, qualità, protezione e tradizioni.

Pesare a sa mama o a su babu  

In Sardegna esiste anche un termine che descrive l’atto di offrire il nome di un antenato ad un nuovo nato.  

Del bambino/a che ha il nome di un antenato si dice che abbia pesadu su mortu.

Il termine è piuttosto interessante: per quanto localmente (Bono e dintorni) mi sia stato detto che pesare è termine in quella accezione intraducibile, e che debba significare semplicemente, aver ricevuto il nome dell’antenato, in realtà traducibile lo è. E la traduzione è piuttosto interessante.  

Pesare significa:

  • crescere
  • educare
  • dare vita ad un canto o un ballo(pesare una oghe, unu ballu)
  • sollevare (pesare prùghere – polvere)
  • rimettere in piedi

Il fatto che proprio quel termine sia associato all’atto di dare il nome di un parente defunto ai neonati, mi fa supporre che un tempo l’intento (oggi dimenticato) fosse quello di rimettere in piedi simbolicamente la persona defunta.  

Pesare su mortu era uso molto comune: disattendere l’uso poteva portare a fastidiose discussioni familiari. Ma in passato era ritenuto inopportuno pesare su vivu (dare il nome di un parente vivo ad un nuovo nato), visto che sarebbe stato come augurare alla persona la morte.  

Questo uso non si riscontra solo in Sardegna o del Mediterraneo. Va oltre i confini del Mare Nostrum e per approfondirlo sono arrivata davvero lontana.  

Stretto di Bering

Stretto di Bering, tra la Russia e gli Stati Uniti. Durante la festa di Capodanno si raccontava che le ombre degli antenati facessero ritorno a casa condensandosi dentro il focolare o sotto la tavola. Aspettavano il momento propizio per entrare nel corpo dei nuovi nati della famiglia. Non si trattava di una reincarnazione, ma di un supporto che avrebbe accompagnato le giovani generazioni per tutta la vita.  

Durante la festa di Capodanno, dunque, si veniva a creare una forte correlazione fra antenati e nuovi nati che portano il loro nome. Si riteneva dunque che le offerte fatte ai nuovi nati di lì in poi, sarebbero state offerte ricevute dall’antenato stesso (vedi questue in Commemorazione dei defunti in Sardegna). 

Delta del Mackenzie

Delta del Mackenzie, Canada. La popolazione detta Eskimo, oggi più comunemente Inuit, chiamava le piccole nate “madri”. L’etnografo Stefanson, di studio in quelle zone rimase molto sorpreso di questo uso in apparenza incongruente. Ce lo racconta Levy Bruhl nel suo L’anima Primitiva. Le donne spiegavano semplicemente che le bambine sono le madri.  

In sostanza si riteneva che l’antenato custodisse e proteggesse l’anima del nuovo nato: quando qualcuno moriva infatti si pensava riposasse nella tomba fino a che non veniva “richiamato” dalla madre di un nuovo nato.  

Era condivisa la credenza che i bambini nascessero con un’anima propria, ma visto che questa era debole, le madri recitavano una “formula magica” che ridestava l’antenato. Questo sarebbe diventato un vero e proprio guardiano del nuovo nato.  

Di conseguenza il bambino sarebbe stato dotato sia della saggezza che l’antenato aveva acquisito in vita, sia di quella acquisita nel mondo dei defunti. Crescendo a queste avrebbe sommato le proprie esperienze e saggezza.  

Questo giustificava la tendenza generalmente diffusa a rispettare e accontentare fin dove possibile i più piccoli: perché la saggezza del bambino va oltre la comprensione degli adulti. Contrariando un bambino si sarebbe mancato di rispetto al defunto di cui egli portava il nome. 

La visione degli Eskimo è interessante: la saggezza dei bambini è ottenuta tramite le generazioni che si sono susseguite e attraverso il patrimonio genetico che li ha formati. 

Ribadisco: non si trattava di reincarnazione, ma della presenza, accanto al nascituro, di un’anima tutelare. Il collante era il nome.  

Affidare al nuovo nato il nome di un antenato era in origine pratica che forse andava oltre il rispetto della tradizione. Poteva avere molti significati, ma è probabile che tutti facessero capo al culto degli antenati, spiccatamente diffuso nel mondo di ieri in luoghi anche molto distanti fra loro.

In sintesi ecco le possibili ragioni: 

  • Simbolismo e protezione: dare il nome di un antenato non era solo un omaggio, ma anche un modo per invocare la protezione dell’antenato. Si pensava che il defunto potesse vegliare sul bambino, guidandolo e proteggendolo nella vita. 
  • Trasmissione di qualità: è probabile che un tempo anche in Sardegna, come in altre culture, si ritenesse che dare il nome di un antenato a un bambino potesse trasmettere le qualità e le virtù del defunto al nuovo nato. Era probabilmente un modo per assicurare che le migliori caratteristiche della famiglia continuassero nelle nuove generazioni. 
  • Il nome fa il destino del nascituro: nelle culture mediterranee, c’è l’idea che il nome di una persona possa influenzare il suo destino. Questo principio, chiamato “nomen omen“, riflette la credenza che il nome porti con sé un’energia o un significato specifico che può plasmare la vita dell’individuo. 

Il concetto di nomen omen è straordinariamente affascinante e si lega alle credenze antiche e universali sul potere intrinseco del nome di una persona, un potere che sembra indirizzare il suo destino. Questa espressione latina, traducibile come “il nome è un presagio“, risale al mondo romano, dove si credeva che il nome fosse più di una semplice etichetta: era un riflesso profondo della persona e delle sue inclinazioni future. 

Nella cultura classica, il nome non era scelto a caso ma rispondeva a motivi rituali e simbolici. In alcune società, scegliere o cambiare un nome poteva essere visto come un modo per indirizzare le sorti della persona, quasi una sorta di “programmazione” del carattere o del destino.  

Non era insolito che al nome di battesimo, noto a tutti, se ne associasse un altro, segreto, che solo poche persone conoscevano. Si riteneva infatti che conoscere il nome della persona regalasse sulla persona un certo potere. Anche in Sardegna questa pratica era condivisa: mio nonno ad esempio possedeva almeno tre nomi:

  • nome di battesimo: Antonino
  • nome quotidiano: Vittorio
  • nomignolo familiare: top secret 😉

Anche oggi, in alcune culture, il nome viene selezionato attentamente e porta significati particolari, con l’idea che queste qualità possano influenzare il portatore.  

La psicologia contemporanea ha persino esplorato fenomeni simili, come l’effetto di portamento del nome, dove i tratti di un nome comune influenzano, in una certa misura, le percezioni degli altri su di noi e anche l’autopercezione. 

Questo fenomeno, noto come effetto del nome o effetto di portamento del nome, è stato studiato in diverse aree della psicologia sociale e cognitiva.  

Il proprio nome sarebbe in grado di influenzare inconsapevolmente le decisioni personali, come il luogo in cui vivere o la carriera, in base a un’attrazione per elementi simili al proprio nome (Studio di riferimento in note) 

Sembra che nomi diversi possono portare a giudizi di personalità e attrattiva fisica differenti, mostrando come i nomi abbiano un impatto sulle prime impressioni (Studio di riferimento nelle note)  

Pare addirittura che il nome possa influenzare le aspettative degli insegnanti nei confronti degli studenti, dimostrando come i pregiudizi inconsci legati al nome possono incidere sul rendimento scolastico. (Studio di riferimento nelle note)  

Questi studi esplorano diverse modalità con cui i nomi influiscono sull’identità e sulle percezioni sociali, confermando l’idea che il nome porti con sé un peso simbolico e psicologico che può orientare, a vari livelli, il comportamento e le scelte individuali. 

Probabilmente per tutte queste ragioni durante le mie interviste ho notato odiernamente parecchia reticenza nel dare il nome di un antenato ai nuovi nati: si teme infatti che in questo modo si possa ricevere l’eredità positiva, ma anche e soprattutto negativa del donante. Tutto per mezzo del nome.  

In conclusione, la pratica di dare ai nuovi nati il nome di un antenato va ben oltre il semplice rispetto delle tradizioni o l’onore verso i defunti. Rappresenta un legame profondo tra passato e presente, una forma di continuità che tiene viva la memoria familiare e culturale. Questo rito non solo invoca la protezione e la saggezza degli antenati, ma sottolinea come, in Sardegna e nel mondo, si riteneva che la morte non rompesse il legame comunitario tra antenati e viventi, legame che dava forza e  sostanza alla società. 

Attraverso l’analisi di diverse culture, dalla Sardegna allo Stretto di Bering, emerge come questa pratica sia un fenomeno universale, radicato nel desiderio umano di connessione e appartenenza. Il nome diventa così un simbolo potente, un presagio che può influenzare il destino e le percezioni sia interne che esterne dell’individuo. 

Riflettere su queste tradizioni ci permette di comprendere meglio come le credenze e i rituali antichi continuino a influenzare le nostre vite moderne. Ci invita a considerare l’impatto che i nomi, e ciò che rappresentano, hanno sulla nostra identità e sul modo in cui interagiamo con il mondo. 

Nella tua famiglia esiste la tradizione di dare ai nuovi nati il nome di un antenato? Che significato ha per te questa pratica? 

Se queste tradizioni ti affascinano, approfondiscile nei miei seminari dedicati agli antenati.  

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