La dispensa: tradizione, trasformazione e potere femminile nella cultura sarda

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Te lo sei mai chiesta/o cosa conserviamo davvero nelle nostre dispense? Cosa significhi fare dispensa? E perché mai la dispensa sia luogo semplicemente magico?  

Per chi ha perso contatto con il suo simbolismo e significato antico “dispensa” è semplicemente un luogo fisico dove vengono riposti cibo e beni di varia natura, ma se guardiamo più a fondo, la dispensa ci racconta storie davvero interessanti.  

In Sardegna, come in molte altre culture, la dispensa è stata a lungo un simbolo di abbondanza, saggezza, accoglienza, protezione, cura, morte vinta e rinascita.  

In sardo, i termini arrebùstu (o rebustu, dal catalano rebost), da tradursi come dispensa, racchiudono storie antiche e un legame profondo con la terra. In questo articolo, esploriamo insieme il significato di questo luogo magico e potente. 

 
La parola “dispensa” deriva dal latino “dispensare“, che significa “spartire”, “distribuire”. Questo termine ci racconta già molto sulla sua funzione: un luogo non solo di raccolta ma anche un luogo di condivisione, dove ciò che viene custodito è destinato ad essere elargito dalle donne a tutta la comunità familiare.  

Non si trattava solo del luogo in cui il cibo veniva stoccato: una dispensa ricca era promessa per il futuro, un atto di cura verso sé ed il proprio clan, un modo per proteggere e garantire benessere nei tempi di scarsità. La dispensa ricca faceva status, e il regalo più prezioso che si poteva fare ad una giovane coppia appena sposata erano grano, uova, olio, vino e levito madre, che avrebbero contribuito alla creazione della nuova dispensa domestica. 

La dispensa seguiva il ritmo delle stagioni, con provviste preparate e conservate per affrontare l’inverno.

La messa in sicurezza di prodotti alimentari all’interno della dispensa è concetto ancora oggi centrale nella cultura popolare in genere e sarda nello specifico (vedi alcune preparazioni tipiche quali olive in salamoia, vino, formaggi, sottoli e sottaceti, salsicce, insaccati, legumi, melone de ierru – melone d’inverno, uva, entrambi conservati nella paglia, erbe raccolte durante la stagione balsamica e altro), e racconta meglio di molte altre pratiche rituali il trascorrere dei cicli della natura.  

Fare dispensa in tale accezione significava sentire dentro le stagioni che cicliche trascorrono. Carpirne l’essenza, il gusto, il profumo, da conservarsi rigorosamente in luogo protetto. Quei profumi, quei gusti, e quelle essenze da soli garantivano la salute di chi con attenzione riempiva il proprio deposito.  E non è un caso che la signora della dispensa era sempre la donna. Ma di questo parleremo fra un attimo. 

In dispensa, se gestita con rigore, si condensava un intero anno, fatto di prodotti e fatiche. Anche e soprattutto per questo è luogo magico, nel quale il tempo non esiste. Insomma, un luogo sacro, luogo di donne, luogo di janas.  

Nonostante esistano diversi tipi di dispensa, qui ci concentreremo principalmente sulle dispense posizionate nei luoghi più freschi e spesso sotterranei della casa.

La cantina e la dispensa, poste a contatto con la terra, sfruttano il fresco naturale del suolo. La temperatura è generalmente stabile, mantenendosi fresca in estate e relativamente tiepida in inverno. Questo le rende luoghi perfetti per la conservazione a lungo termine di prodotti che richiedono condizioni costanti, come vino, formaggi, frutta e verdura. 

In questo genere di dispense, eredi delle grotte, ruolo fondamentale lo hanno il buio e la terra. La cantina e la dispensa infatti, oltre che luoghi fisici, nell’immaginario, sono luoghi di trasformazione incredibilmente vicini alle tombe: è nel buio che il cibo matura, si conserva, e si prepara per essere riscoperto e utilizzato. 

Cantina e dispensa, custodiscono dunque simbolo e per questo, potere e magia. Entrambi i luoghi sono nascosti, al riparo dagli elementi e dai visitatori. Entrambi i luoghi ricordano la cella1 di un tempio, sacra, preclusa ai più, sempre sigillata. 

Il silenzio che dentro vi regna, il contatto con gli elementi, il fatto che la porta sia sempre chiusa e le chiavi in mano della donna più potente della famiglia, ci raccontano la dispensa come luogo sacro nel quale si custodisce non solo cibo, ma anche memoria familiare legata alle tradizioni, ai riti e alle abitudini tramandate di generazione in generazione.  

La Sardegna, d’altronde, così come buona parte del Mediterraneo e dell’Europa antica ha lunga tradizione nella posta a contatto del cibo e/o defunti con la terra, elemento sempre considerato di trasformazione e rigenerazione.  

Sull’isola a partire da settemila anni fa abbiamo scavato, sotto la terra, tombe che nella forma ricordavano grembi e cupole dentro le quali abbiamo posizionato i nostri antenati, certi che il sottosuolo, utero della prima donna, la Terra Dea, li avrebbe fatti rinascere. Ne eravamo così sicuri che, data la chiusura delle tombe con pesanti portoni, all’interno posizionavamo un pasto rituale per l’anima che si sarebbe ridestata e una falsa porta dalla quale sarebbe potuta accedere ad altro mondo.  

La dispensa, posta a contatto con la terra, conserva quel simbolismo: di abbondanza, di futuro e vita, ma soprattutto di rinascita e potenziamento per mezzo della terra. 

La differenza tra dispensa e tomba consiste nella risorsa stoccata: anime in un caso, riserve alimentari nell’altro. Ma la Terra, nell’uno e nell’altro caso è agente fondamentale. 

L’aquila gli consegnò le chiavi gli permise di andare ovunque e guardare tutto, soltanto gli ordinò di non toccare una chiave appesa alla parete. Naturalmente Ivan apre il ripostiglio con la chiave e vede dietro la porta un cavallo. Poi si addormenta e dorme tutto un anno di un sonno ininterrotto. La faccenda si ripete per tre volte. Dopo la terza volta i fratelli animali gli regalano il cavallo ed egli se ne va. Una volta rotto il divieto ciò che è proibito diventa lecito per l’iniziato2

Nelle fiabe come è stato analizzato da V. Propp è spesso presente un locale proibito, una dispensa, un Sancta Sanctum interdetto a tutti. 

Qui spesso si svolgevano rituali di iniziazione: il neofita e la neofita si trattenevano per un certo tempo all’interno della stanza e in quel locale subivano tutte le prassi rituali. Evidentemente la permanenza in quella stanza faceva diventare iniziati. 

L’etnografia ci offre descrizioni incomplete di questi ambienti, ma sappiamo che queste stanze segrete, ripostigli proibiti, custodiscono oggetti spesso dell’altro mondo, animali aiutanti, sangue, ossa, ma anche unguenti ed erbe magica. 

Difficile non vedere nelle dispense l’evoluzione di questi ripostigli proibiti. 

Che il sardo fosse sicuro la terra guarisse non è una novità. Ti cito alcuni esempi che ti invito ad approfondire. Ti ricordo il rituale antichissimo dell’incubazione, e la più moderna abitudine di dormire a contatto con la terra nei novenari: ne parliamo nel dettaglio nel seminario Janas Academy “La magia del sonno”.

Vedi la terapia detta imbrussinadura o imbrusciadura: sfregamento rituale a terra nel corpo di un malato che avrebbe in questo modo restituito il male a terra. Vedi l’abitudine di versare acque usate per praticare la medicina dell’occhio a terra, in luoghi che nessuno mai avrebbe calpestato. 

La terra in Sardegna è dunque considerata un elemento vivo, senziente, in grado di guarire assorbendo i mali, e in grado, in più rari casi, di ammalare.   

Concedetemi un breve approfondimento: il fatto che in Sardegna è in buona parte del Mediterraneo si preferissero tombe sotterranee o a contatto con la terra, all’atto della cremazione, la dice lunga su come le genti di ieri intendessero la divinità. Terra era la madre alla quale il corpo dei suoi figli veniva restituito dopo la morte.  

L’arte di cremare i defunti parla di gente diverse che intendono il divino in Cielo. Per raggiungerlo sarà dunque fondamentale trasformarsi in fumo attraverso la cremazione. Ma nel mediterraneo Dea madre era Terra, disposta ad accogliere tutti e presto o tardi a restituire vita. 

L’idea tanto antica e radicata nella nostra natura ci fa intendere ancora oggi la dispensa, simile a una tomba, un luogo magico, di conservazione e cambiamento.  

Ti cito almeno due esempi di cibo posto a contatto con la terra che ritengo particolarmente interessanti: la kangina e le fosse granarie.  

La Kangina da tradursi come “tesoro” è un’antichissima tecnica afghana (ma nota in Azerbaijan, Iran e probabilmente un tempo in tutto il Mediterraneo) per conservare l’uva e frutta fino a sei mesi. L’uva viene sigillata in due gusci di paglia e fango e argilla, e conservata in ambienti freschi e asciutti, come cantine o soprattutto sottoterra. Questo metodo permette di mantenere l’uva fresca per l’inverno, proteggendola dagli sbalzi di temperatura e dall’umidità.  

La pratica di conservare l’uva nel fango e nella paglia è stata registrata nel XII secolo, ma è indiscutibilmente più antica. Ce ne parla l’agronomo sivigliano Ibn al-‘Awwam che annotò la possibilità di conservare l’uva stratificandola con la paglia all’interno di contenitori di vetro sigillati con fango o “ciotole di escrementi di mucca”. Questa tecnica era evidentemente in grande uso in Andalusia. Interessante ricordare che anche i Sardegna l’uva e il melone bianco, comunemente detto de ierru (d’inverno a segnalare il periodo nel quale si potrà consumare), viene conservato ancora oggi in stratificazioni di paglia. 

Altro esempio interessante da segnalare, questa volta made in Italy sono le fosse granarie, tipiche di Foggia. Si trattava di silos sotterranei usati per conservare il grano in sicurezza per lunghi periodi. Scavate a forma di tronco di cono, queste fosse permettevano di mantenere costante la temperatura e proteggere il grano dalle intemperie e dagli animali. Conservare il grano sottoterra era fondamentale per la sopravvivenza, garantendo approvvigionamento alimentare durante i periodi di scarsità. 

Per quanto in Sardegna non risultino tecniche di conservazioni simili, conservare cibi in recipienti di terracotta non era insolito: ancora oggi le olive vengono conservate nelle bùrnie, anfore di terracotta, e le scivedde, conche di terracotta sono contenitori tradizionali ma non inusuali anche nelle cucine moderne.  

 
Nella cultura sarda, come in molte altre, le donne erano le principali responsabili della gestione della dispensa. Erano loro che curavano e custodivano le provviste, pianificando con attenzione la distribuzione di cibo per tutta la famiglia, spesso in condizioni di scarsità. Questo ruolo di cura e organizzazione rifletteva non solo la loro capacità pratica, ma anche la loro profonda conoscenza del ciclo della natura e delle necessità familiari. La dispensa, quindi, non era solo uno spazio di conservazione, ma anche un luogo dove il sapere femminile veniva tramandato e preservato. 

Anche Grazia Deledda nel suo romanzo autobiografico “Cosima” ci racconta che nella tradizione sarda, la dispensa era uno spazio sacro e riservato. Nella sua casa, la dispensa era un ambiente chiuso, fuori dalla frequentazione abituale dei membri della famiglia. Oltre la porta, serrata a chiave, venivano custodite le provviste essenziali per l’alimentazione: grano duro per il pane bianco e integrale, orzo per il pane destinato alla servitù e ai lavoranti stagionali, e una varietà di legumi secchi e frutta di stagione.  

Inoltre, corone di fichi secchi, grappoli d’uva e lunghi teli di lana e lino utilizzati per la panificazione venivano sospesi su varie canne. 

Questo spazio non solo custodiva il cibo della famiglia, ma rappresentava anche la sicurezza, lo status e la preparazione per il futuro, un tema centrale sia nella vita domestica che nella cultura sarda. 

Dispensa – Generata con AI

Le leggende ci raccontano le janas come donne che abitano o le domus de janas o il sottosuolo. Periodicamente, raccontano i contus (racconti) che ci parlano di fate sarde, queste donne esponevano le proprie masserizie e riserve ai raggi della luna. Non sappiamo perché lo facessero; forse intendevano rinfrescare i propri depositi, forse volevano potenziarli per mezzo dei raggi della luna o magari distribuire questi beni ai meritevoli.  

Mi è inevitabile in questo mito intuire la jana come donna organizzatrice di una dispensa sacra, che elargisce ciò che possiede in tempi e metodi rituali. 

 In casa dispongo di diverse dispense, ma la mia preferita è senza ombra di dubbio quella erboristica dove conservo il mio tesoretto fatto di erbe raccolte con cura.  

Le piante sono alleate preziose per il nostro benessere, strumenti che ci connettono al sapere antico e alla natura, ma anche tramiti spirituali che ci pongono in contatto con noi stesse e l’universo. Ogni erba ha la sua storia, il suo potere, e nella mia dispensa non mancano mai: 

  • Malva, per lenire e calmare; 
  • Camomilla, per il suo effetto rilassante; 
  • Finocchietto, perfetto per la digestione; 
  • Liquirizia, per rinvigorire; 
  • Passiflora, per favorire il riposo; 
  • Psillio, per la pulizia intestinale; 
  • Tarassaco, ottimo depurativo; 
  • Karkadé, ricco di vitamine; 
  • Petali di rosa, per un tocco di dolcezza e bellezza; 
  • Fiori di viperina, un dono raro della natura; 
  • Calendula, rigenerante per la pelle; 
  • Menta, rinfrescante e stimolante; 
  • Cannella e caffè di cicoria, per infusi ricchi di aroma e proprietà curative. 

Spero che ti sia di ispirazione per creare la tua personale dispensa erboristica, un luogo nel quale trovare energia materiale, simbolica e spirituale. 

Nonna usava sa muschera o appendeva i frutti di stagione alle travi del solaio. Sotto la scala aveva s’accaiolu, un ripostiglio rotondeggiante ricavato nel muro dove conservava altri alimenti. Al buio teneva le bugne delle olive in salamoia. 

Serena, Terralba 

Adoro la dispensa, quella che avevano nelle case al paese di mamma in Marmilla. La casa era costruita in pietra e fango (e la dispensa) questa stanzina era una sorta di seminterrato, perciò, molto fresca e con una finestrella in alto. 

…era proprio una stanza nel punto più fresco dedicata alla conservazione di frutta, verdura, sottaceti, marmellate, frutta essiccata, formaggi. 

L’uva, i pomodorini, le mele cotogne, le melagrane, i meloni si appendevano alle travi. Negli scaffali i vasi, nelle tavole in legno sospese il formaggio e nelle ceste meline, patate… 

Anna, Marmilla 

Il mio ricordo risale a poco tempo fa. Probabilmente avevo 3/4 anni. Il frigorifero non esisteva. 

I miei nonni, in quel di Gavoi possedevano in quello che è oggi il centro storico una casa tipica fatta con blocchi più o meno squadrati di granito. 

Un minuscolo poggiolo si affacciava sulla strada, all’interno della casa al piano secondo c’erano solo due ambienti. 

La camera da letto e la soffitta che svolgeva la funzione di magazzino per il grano, cereali in generale, patate, qualche cassa di legno che conteneva l’ossica di maiale. 

Al piano di sotto c’era un solo ambiente con caminetto e arredi vari in legno. 

Un fondo alla stanza l’armadio a muro foderato di marmo bianco di Carrara con più ripiani conteneva il cibo deteriorabile. 

Giuseppe, Gavoi 

“… come se il solaio fosse il luogo di ciò che non è mai avvenuto, di ciò che è stato nel passato e nella memoria, e in qualche modo cerchiamo di recuperare. Finché rimane nel solaio… quell’oggetto vuol dire che rimarrà nel tempo della memoria. 

Emma, Alghero 

La dispensa non è esclusivamente un luogo fisico ma è anche, e soprattutto, un luogo della memoria, uno spazio simbolico, di iniziazione, di trasformazione, che trae il suo potere dal contatto con la terra. 

La terra è un elemento che nelle società di ieri era inteso senziente, in grado di potenziare, conservare, guarire, rinvigorire tutto quello che vi veniva posto in contatto. 

L’argomento dispensa ci consente di analizzare non solo l’elemento Terra, ma si relaziona anche con i più antichi racconti di fate, con le vecchie tecniche di trasmissione di sapere, con le tombe ipogeiche proprie di tutta quelle popolazioni che ritenevano gli déi addormentati sottoterra. 

Sarebbe un errore dunque considerarlo un luogo privo di simbolo.  

E’ appunto il simbolo che ancora oggi percepiamo ma non sempre comprendiamo, che regala potere e quella che definiamo oggi magia al luogo. 

Il libro dei simboli, Tashen 

Quando le tradizioni erano la religione del popolo, Eugenia Mulas 

Piante medicinali in Sardegna, Enrica Campanini 

Le radici storiche dei racconti di fate. Vladimir Ja. Propp 

Chi ha cucinato l’ultima cena? Rosalind Miles 

Le domus de janas, Cesim, AAVV 

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