Francesco Masala mi ha lasciato senza parole. Con tantissime cose da dire ma senza parole.
Ho ripreso il filo di questo post almeno cinque volte, e temo lo riprenderò da principio ancora molte altre.
Quando ho visto il documentario che parlava di lui la sala era buia, piena di molte persone tutte diverse, tutte silenziose. Bambini giocavano fuori, e dentro il caminetto scaldava le mani di tutti. Nessuno sapeva cosa aspettarsi. Alcuni Francesco Masala lo avevano conosciuto di persona, altri no. Alcuni sarebbero piaciuti a Francesco Masala, altri un po’ di meno.
Il documentario è partito. Silenzio. Curiosità. Silenzio. Emozione.
Credo di essermi innamorata di Francesco Masala fin dalla prima frase regalata allo schermo: “Sa faula tratzada commenti su riu” che lui traduce così: “La poesia è come il fiume, ovunque passa trascina quello che può e se lo porta via dalla sorgente del passato alla foce del presente”. Aveva una voce buona Francesco Masala, coinvolgente, familiare, che mi è scivolata dentro.
Poi ha rincarato la dose: “La mitologia, la tradizione popolare è la storia dei vinti. È il riassunto della realtà”. D’accordo a quel punto ero cotta a puntino. La storia, quella dei libri, sono i vincitori ad averla scritta, ai vinti non resta che scrivere la storia nelle proprie tradizioni, nel proprio mito. Ecco, deve essere per questo che il mito mi affascina tanto, ho pensato subito.
Durante quel breve pomeriggio di gennaio ho avuto modo di scoprire un forte cuore sardo che batte ancora, nonostante i suoi piedi non bussino più contro la terra.
Francesco Masala era un innamorato fedele della sua Isola, l’ha raccontata con ferocia paterna che ne vede i pregi e non ne nasconde i difetti. La sua Isola in cambio lo ha protetto, lo ha reso l’uomo moralmente rigoroso per il quale la storia lo racconta, lo ha reso un pensiero e i pensieri non possono morire.
Non starò a raccontarvi tutto il documentario, sarebbe inutile, sarebbe stupido. Quel documentario dovete guardarlo voi, con i vostri occhi e trovarci dentro un riflesso di voi stessi. Dovete ascoltare le poesie, le parole di Francesco Masala dette da Francesco Masala, dovete scoprire il suo “Quelli dalle labbra bianche” raccontato come si fa con le opere teatrali, conoscere i personaggi suoi e della sua Arasolè prima ancora di leggerli. E leggetelo poi quel libro, leggetelo!
Dovete soprattutto ascoltare Francesco Masala raccontato da chi lo ha conosciuto, da chi gli ha stretto le mani, da chi ha bevuto con lui e sorriso delle stesse risate.
A Paolo Pillonca, durante una trasmissione televisiva raccontò di aver incontrato personalmente Leone Tolstoj. Era notte, lui scriveva e Tolstoj entrò nella sua stanza. Si trattava di un fantasma ovviamente, di una visione, di una fantasia. Poco importa: lo aveva esortato a continuare per la sua strada, che raccontare la storia della sua Aresolè equivaleva a raccontare la storia del mondo.
Mi è piaciuta quell’idea, mi è piaciuta quella possibilità. Mi è piaciuto il messaggio che Francesco Masala, dieci anni dopo la sua morte mi ha consegnato: di proteggere la mia Sardegna, e di farlo a tutti i costi, senza piegare la schiena, senza aver paura delle parole, senza aver paura di chi la Sardegna la vuole solamente usare.
Per farlo devi recuperare la tua storia, devi recuperare le tue tradizioni, devi recuperare la tua lingua, mi ha consigliato Francesco Masala. Per farlo devi amare la tua Isola come ami il tuo futuro: intensamente e senza riserve.
Chiudo ringraziando Marco Gallus per il bellissimo lavoro, che dimenticare Francesco Masala sarebbe un delitto contro l’Isola, e ringraziando la famiglia che ancora lo racconta tanto generosamente.
Francesco Masala mi ha lasciato senza parole. Con tantissime cose da dire ma senza parole. Leggerò di lui fintanto che non troverò quelle giuste.
Trovi maggiori informazioni sul progetto visitando questa pagina: https://www.facebook.com/Vintimanonconvinti/photos/a.681423738665630.1073741829.681122692029068/874522012689134/?type=3&theater
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