Mi piacerebbe dirti che erano fatine buone e belle, di quelle che ti svegliavano con il campanello d’ottone durante una notte di luna piena o con una melodia flautata durante una notte di entu estu il maestrale che qui, su Sardegna, soffia forte. Erano anche questo, ne sono sicura, ma non solo.
E del non solo ti voglio parlare oggi.
Più curioso nel loro mondo in qualità di donna e ricercatrice indipendente, più mi convinco che fossero donne per davvero, sacre per giunta.
In che senso donne? In che senso sacre? Forse te lo stai chiedendo. Io me lo sono chiesta.
Leggende, racconti, luoghi, sogni mi hanno aiutato a disegnare questo profilo delle janas. Il loro profilo è una mappa. Il loro profilo è un sentiero. Il tesoro che possiamo trovare seguendo questo sentiero è prezioso: la nostra interezza di donne, la nostra interezza di anime perché un poco per gioco, un poco per destino l’anima alle volte si frammenta, perde la strada e questo abbandono si trasforma in dolore, tristezza, in una parola incompletezza.
Ecco, seguendo la mappa che il profilo delle janas mi ha aiutato a tratteggiare, io mi sono sentita finalmente intera.
Le ho immaginate così:
indipendenti – si presentavano nel mondo solo quando questo aveva forte necessità di loro, per il resto erano creature solitarie;
forti – moralmente ma anche fisicamente. Me le immagino selvatiche, originarie, che camminano a piedi nudi, che cavalcano madre natura;
d’intuito – la leggenda dice che prevedessero il futuro tramite acqua e specchi;
di conoscenza e studio – sapevano tessere, cantare, ballare, gestire e domare il fuoco, leggere l’acqua, panificare, curare, far nascere, far morire e a tempo perso determinavano o prevedevano il futuro dei bambini;
maestre – che non temevano condividere quel che conoscevano;
erano madrine ma non madri – il tratto della loro presunta verginità è ancora da analizzare;
in grado di gestire/attraversare il tempo – come le leggende che raccontano degli amori appassionati fra janas e uomini lasciano intendere;
dispensatrici del sacro – sono spesso poste in connessione con figure divine, notturne, materne, originarie.
Alle donne hanno regalato tutto (da segnalare la leggenda dei doni regalati alle donne).
In questo senso ci possiamo sentire tutte loro eredi: sì questo è un onore, ma è anche un grandissimo onere.
La leggenda ci racconta che ad un certo punto sparirono. Si stancano di noi. Così ci dice la leggenda. Ma perché?
Abusi da parte di alcuni uomini, i loro tesori compromessi (tesori da intendersi come saperi, talenti e competenze), il loro status di donne sacre messo in questione sono solo alcuni dei motivi che le leggende lasciano trapelare.
Tornarono nelle loro magiche domus de janas (sorvolo sulla più moderna conclusione secondo la quale la divinità le avrebbe ridotte in status di insetti) dove ancora è possibile cercarle, nelle loro caverne e nelle loro pietre, nei loro boschi o nelle loro sorgenti.
Viaggiando la Sardegna è possibile riconoscerle in questi contesti archeologici, naturalistici, magici tutti da riscoprire, da raccontare, da tutelare. Per i più sensibili è possibile finanche intuirne, in quei luoghi, la presenza.
Ci hanno abbandonato ma hanno nascosto in ciascuno di noi un seme: a coltivarlo quel seme ci restituirà consapevolezza e connessione con il territorio, stima per la nostra storia e radicamento alla terra. A coltivarlo quel seme ci renderà persone più fiere delle nostre sorti e più forti. A coltivarlo quel seme, te lo prometto, potrai finalmente sentirti intera: indipendente e interdipendente, forte, d’intuito, maestra generosa, protettrice di bambini e donne, in grado di attraversare il tempo, sacra.
Dal convegno “La sacralità femminile. Dal mito alla storia” Alghero – 23 marzo 2020
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