Quella di mercoledì a Villa Fanny è stata una serata incantevole. Mi sarebbe piaciuto avervi avute tutte e tutti lì. Ma non è stato possibile: questo post ha l’intento di fare una magia, offrendo, anche a chi non è potuto essere presente, un assaggio dell’incontro durante il quale abbiamo presentato Janàsa libro e Janàsa film.
Il documento che ho scritto per strutturare la serata, lo condivido integralmente con voi: sono partita dai ricordi, dalle piante e soprattutto dai profumi, in onore della preziosa associazione Amici del Giardino (mi raccomando, seguili su IG) che ha organizzato la serata.
Punto di partenza dunque sono state le piante, la Sella del Diavolo e la magia di una notte, quella di San Giovanni.
Leggi tu stessa/o.
👇🏽👇🏽
La sella del Diavolo
La prima volta che visitai la Sella del Diavolo non sapevo che avrei scritto Janàsa ma sapevo che avrei scritto di quei luoghi.
E lo sapevo per almeno due motivi:
- il primo è che quei luoghi erano stati di mia nonna prima e di mio padre poi;
- il secondo motivo è che la natura lì vive una vita di pietra e io l’ho sentito subito, fin dal primo passo. Cosa significa vivere una vita di pietra? Chi vive una vita di pietra è intramontabile, eterno, immutabilmente presente. Lì, in sella a quello spuntone roccioso si ha il sospetto che la natura, quella natura, ci sia da sempre e per sempre rimarrà.
Quando, qualche tempo più tardi, pensai a Janàsa come romanzo, mi venne subito in mente di ambientarlo alla Sella del Diavolo. E non è stata una cattiva idea.
Janàsa e l’origine delle Janas
Il romanzo, che in origine doveva essere un saggio, aveva l’obiettivo di raccontare come il mito delle janas sia nato e si sia propagato in tutta la Sardegna.
Probabilmente per diffusione.
Per cui ho raccontato di 7 donne che nel romanzo chiamo “rosse” perché vestono di rosso (e no, se te lo stai chiedendo il rosso non è un colore casuale), che tra il 1800 e 1700 a. C. si incontrano in Sardegna e insieme creano magia. Meglio, creano una comunità magica, un cerchio potente di donne consapevoli.
Un dettaglio che merita d’essere messo in vista è che le donne non sono tutte originarie della Sardegna: nonostante la narrazione zoppa e malata che a lungo si è fatta della mia isola, oggi è importante ricordare che la Sardegna era centro culturale di rilievo del Mediterraneo. Per questo oggi la racconto come matrice di cultura e luogo di incontro. Questo genere di narrazione fa bene all’isola e fa bene ai sardi.
Le due storie parallele
La storia di Janàsa e le sue sei sorelle non è l’unica presente nel libro. È raccontata anche la storia di Anita e Piera.
Se leggendo la storia dalle 7 rosse si ha il sospetto che l’antropologia sia stata applicata alla narrativa, lo scopo delle figure di Anita e Piera è quella di raccontare una storia antica che crea continuità con il passato. Le due si incontrano la notte del 23 giugno del 1944 sulla Sella del Diavolo. Quella è una notte magica: è la notte di S. Giovanni e durante la notte di San Giovanni la natura in Sardegna è sempre protagonista.
La prima cosa è che le due donne e il lettore vedono, ma soprattutto annusano sono la scogliera che da senso di infinito e profumo di salsedine, il timo, l’elicriso, il cisto e la scilla marittima; le stesse cose che vidi e annusai io la prima volta che salii sulla Sella del Diavolo.
Le erbe magiche
Janàsa è un romanzo che si legge, è un romanzo che si guarda, è un romanzo che si annusa. Capitolo dopo capitolo ho inserito fra le parole i profumi della mia terra. È fra i profumi che Piera incontra fin da subito c’è quello di timo ed elicriso, di scilla marittima e cisto.
Il Timo ad esempio non è solo un’erba dai potenziali fitoterapici sorprendenti: antibatterico, antinfiammatorio, espettorante, digestivo e rilassante, ma è anche l’erba del coraggio (Thymus) e soprattutto in Sardegna è l’erba che mai poteva mancare nel momento in cui si praticava il rituale magico terapeutico de s’affumentu. Quello specifico timo, non solo terapeutico ma dal potenziale magico, era in San Giovanni che veniva raccolto, e Annita lo raccoglie mostrandolo a Piera perché ne riconosca l’importanza. La nipote quel timo dovrà fissarlo nitidamente nella memoria, ne andrà della sua salute.
L’elicriso è la pianta del sole e quindi intesa spesso come pianta con energia maschile. Ma una cosa interessante da dirsi in merito al sole in Sardegna e questa: il sole qui, sulla mia isola è donna, è madre. Quasi tutti ricordano ancora oggi sa mama de su soli, un delle più potenti madri di Sardegna.
La scilla marittima è altra pianta della quale sarebbe bello raccontare a lungo: qui basti sapere che in Sardegna era ritenuta magica e protettiva e che le donne poco prima di partorire chiedevano ai propri uomini di dissotterrarne il bulbo per tenerlo sotto il letto o appeso all’architrave della porta. Le avrebbe protette dalla strega delle partorienti.
Il cisto infine era una di quelle piante che comunemente venivano segnate la vigilia di S Giovanni. Sarebbero state utili per successive divinazioni. Piera che segna con un fiocco una pianta di cisto trarrà auspici matrimoniali per l’anno a venire.
Ti racconto questo per dirti che niente in questo libro è lasciato al caso e tutto ha un senso, esattamente come la tradizione popolare sarda mi ha insegnato.
I messaggi del romanzo
Nel romanzo, un occhio attento può intuire l’importanza della narrazione del mito che crea gruppo e coesione, ma soprattutto che garantisce il passaggio di saperi e competenze. La Sardegna, terra a oralità primaria, ha fatto della narrazione l’arte di trasmissione di conoscenza più importante: in questo romanzo celebro quest’arte preziosa.
- Donne e uomini potrebbero riconoscersi nel viaggio di autodeterminazione del sé, per dirla alla maniera di Jung, di Janàsa, che attraversa un vero e proprio viaggio dell’eroina. Un viaggio che noi tutte/i abbiamo o avremmo dovuto attraversare. Ecco, Janàsa ci fa da scorta.
- Si vede concretamente cosa è quel fantomatico “potere delle donne”, di cui oggi tutti parlano. Non è mai potere sulle altre persone, ma sempre viene applicato su sé stesse. Qui le donne hanno dominio su se stesse, e per questo hanno dominio sulle cose. L’esempio che mi piace fare è quello delle streghe, osteggiate soprattutto per il proprio potere: quelle donne avevano il potere di influenzare la vita altrui offrendo rimedi per ogni occasione di salute o malattia. Il loro sapere, acquisito tramite la canalizzazione delle proprie energie, offriva loro potere, che non si traduceva in ricchezza o possesso, ma in influenza sulle vite altrui. E questo è forse uno dei poteri più grandi e temibili.
- Sostegno fra donne: in Janàsa non esiste scarsità patriarcale e le donne sono ancora libere di supportarsi a vicenda perché nonostante il successo dell’una, il successo potrà essere ottenuto anche dall’altra.
- Ecologia profonda, sostenibilità e connessione con la natura.
- Tanta, tanta magia, che in fondo è il linguaggio che natura usa per dialogare con noi. Ma questa è un’altra storia.
Alessandra Usai, la Nical film e il sogno del Film
Gli interventi di Alessandra Usai e Nicola Menunni, carissimi amici e rispettivamente regista e produttore, hanno chiuso la serata. Hanno raccontato dei progetti che vedono protagonista la Nical Films, la loro casa di produzione, delle difficoltà e delle sfide che Janàsa ci sta proponendo, ma di quanto queste ci stiano aiutando a crescere come persone e professioniste/i.
La conclusione è stata perfetta: è stato proiettato il teaser, che purtroppo non è ancora disponibile online e abbiamo salutato la sala con la promessa che presto, prestissimo, ci rivedremo con nuovi racconti e nuove sfide.
Il libro Janàsa
Se ancora non hai letto il libro edito dalla casa ed. Condaghes, puoi trovarlo online, ma, ancora meglio, in libreria.
Se invece hai già letto Janàsa raccontami: sei stata/o toccata/o dalla storia? Commenta sotto per farmelo sapere. Il tuo feedback è prezioso per me!
Leave a Reply