Sardegna in Tavola: quando gli igers sardi si incontrano
A me alcune cose dei Sardi e della Sardegna mi fanno morire di gioia. Prendi ad esempio la voglia di far festa, il genetico bisogno di condividere, l’atavica necessità di offrire tradizione gastronomica e culturale a chiunque.
Ecco, ieri è successo proprio questo. C’era la Sardegna in Tavola e molti Sardi seduti su panche di legno, dentro un fitto bosco verde smeraldo a chiacchierare, bicchiere di vino in mano e formaggio fra le dita. Bello, una cartolina, il capitolo di un libro ben raccontato, la scena di un film che guarderesti ancora, ancora e ancora perché qualche dettaglio ti sfugge sempre.
Ieri quaranta (cellulare più, cellulare meno) Igers si sono trovati a Santo Lussurgiu, nel bellissimo parco di San Leonardo de Siete Fuente.
Poteva sembrare che il protagonista fosse il cibo, e invece no, a me la protagonista vera è sembrata la generosità della mia gente.
Senti qui.
Il parco de Siete Fuentes
La decisione è stata presa quasi all’unanimità: Parco di San Leonardo de Siete Fuentes, per via delle sette fonti che dispensano un’acqua deliziosa, salutare, curativa, leggera, di montagna.
L’occasione era quella del 14 esimo instantmeet promosso da Instagram, in contemporanea mondiale, organizzato da @igers_sardegna in collaborazione con @Sardegnacom. Mica ciccioli. Tema il cibo, per cui la giornata è stata dedicata alla mia tanto amata rubrica #sardegnaintavola.
Previsioni tremende, promessa di pioggia su ogni sito, canale tv, app. D’accordo mi sono detta, se non vado oggi non ci vado più. Prenderò un po’ d’acqua. E invece niente. Mamma Sardegna si è dimostrata piuttosto bonaria, regalandoci una giornata fredda, di quasi autunno, ma asciutta e a tratti soleggiata.
Appuntamento alle 10,30, saluti di rito e poco dopo un serpente lungo 40 fotografi, quasi fotografi, appassionati e sazzagoni, per dirla in italiano golosi buongustai, ha esplorato parco, piccolo ma ricco di suggestioni. Ci sono le fontane dispensatrici di un’acqua che alcuni raccontano sia in grado di curare molti mali. Ci sono ponticelli che non ti aspetti, alberi antichi dalle radici divelte diventate passaggio segreto per rigagnoli di acqua, ci sono castagne, noccioline, ghiande, foglie secche, muschio e profumo di terra.
C’è anche un piccolo villaggio di case antiche, alcune disabitate, altre chiuse, altre ancora vive, locande in mezzo al bosco e una meravigliosa chiesetta in massiccio stile romanico pisano. Ti consiglio di visitarla.
Quelle che un tempo sono state muristenes, case che ospitavano i fedeli che partecipavano alla novena di San Leonardo (6 giugno) ora sono diventate stanze di una bellissima struttura ricettiva, l’Eremo del Cavaliere. Incantevole, da lucidarsi gli occhietti. Ci tornerò ad autunno inoltrato e avrò modo di raccontarti meglio.
Sardegna in tavola: dolce e salata
Per le 12,30 il tour era bello che concluso. Magari avremo potuto girovagare ancora, ma in Sardegna vedi sull’orologio 12,30 e ti vien fame. Inevitabile, abbiamo alleggerito le macchine e imbandito almeno tre lunghi tavoli di Sardegna.
Era un po’ come quelle scampagnate che si faceva da ragazzi, in famiglia, durante le quali ognuno portava qualcosa.
Iniziamo dal vino, ottimo, amabile, che un bicchiere tira l’altro, di Sennori. Treccia e l’opulento casizzolu (stagionato) invece erano locali, di Santo Lussurgiu, c’era sua maestà il Fiore Sardo di Gavoi, un formaggio alto, imponente, piccante, sardo, su sartizzu, immancabile, una quantità impressionante di pani da ogni angolo di Sardegna tra cui i miei con gerde e olive nere, sa prazida di San Vito, la Panada di Assemini nelle due versioni, le panadine di Oschiri, c’erano addirittura i malloreddus fatti a mano la notte prima e incasati in civedda (deliziosi), olive e credo ci fosse anche dell’acqua, naturalmente delle fontane Siete Fuentes.
Il momento dei dolci è stato uno dei più attesi. Roberto Murgia (se non lo conosci conoscilo!) ha confezionato un vero e proprio banchetto di delizie isolane gentilmente commissionate da sardegnacom: pastissus, cupolettas, tiliccas, ossi di morto, sospiri, coricheddos, candelaus pieni e vuoti, gueffus e chi più ne ha più ne metta.
Fra i tavoli circolavano dei buonissimi ravioli con ripieno di mandorle (culugiones de mendula), le mie delicate caschettas di Belvì, che pure loro si sono fatte mangiare, un bellissimo pistiddu di Orotelli, e meravigliosi piricchittus di ittiri mai assaggiati prima di allora.
Ho pizzicato davvero di tutto, conosciuto nuove persone, scambiato opinioni, visto i volti che si nascondono dietro le foto: quelle che da anni guardo su Instagram. E sai che ti dico, mi è piaciuto.
Sopra un tavolo (onthetable), se è di legno è meglio
Sai di cosa si tratta? La faccio facile: è un genere di fotografia che ti consente di immortalare un momento (gastronomico ma non solo) dall’alto. La visuale è insolita, inaspettata, d’insieme, d’impatto. E’ per questo che piace tanto.
A vederli su schermo gli onthetable sembra facile realizzarli: d’altronde chi è che non riesce a mettere su tavolo una composizione di oggetti che siano in grado di raccontare una storia? Beh quasi nessuno!
Ecco perché mi è piaciuto vedere all’opera ch_ecco. Ovviamente da secchiona quale sono ho prestato molta attenzione. Ecco le mie deduzioni.
Per creare un onthetable che faccia centro serve:
- del tempo
- delle mani (opzionali ma fanno la loro porca figura)
- parecchi oggetti che raccontino una storia coerente
- visione d’insieme
- visione dall’alto
- spiccate capacità direttive (nel caso in cui partecipino le mani)
Sono rientrata a casa con almeno tre pensieri in testa: quando avrei prenotato la mia stanza all’Eremo del Cavaliere, come comporre il mio prossimo onthetable, e quali nuovi dolci sperimentare nelle magiche cucine Koendi.
Un applauso è d’obbligo e lo dedico ad Alessandra Polo che ha organizzato con esperienza questo incontro di sardi in Sardegna. Yep!
Per vedere tutte le foto e tutti i contenuti ecco il tag giusto #wwim14sardegna.
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