Introduzione al seminario “La magia del lievito madre”
Quando penso alla donna penso a una creatura in grado di tracciare netti cerchi: al loro interno posiziona affetti, emozioni, situazioni, colori, odori profumi. Tutto quello che le sta a cuore. E lo protegge. Non chiude necessariamente la porta di questo cerchio immaginario che può essere una casa o una tenda, perché lei protegge in maniera sottile.
La maniera sottile è una maniera che c’è, ma non si vede. Eppure si sente. Oh se si sente.
Lo spazio sacro, lo spazio domestico della donna è inviolabile. A vegliarlo c’è lei. In Sardegna la proprietaria di casa si diceva sa meri ‘e domu. La Domina. La senti la carica energetica della parola?
Un tempo proteggeva il suo spazio domestico, sacro, con magie, erbe, fumigazioni, belle parole, profumi, resine, radici, amuleti, con la sua presenza, con il suo coraggio e la sua autorità.
Lo fa anche oggi, in modo nuovo. Con fiori, colori, profumi, musica, oggetti, con vibrazioni. La differenza tra ieri e oggi è che oggi, più spesso che ieri, ne è inconsapevole, ma poco male. La consapevolezza si può ricordare.
Ma anche e soprattutto nutrendo: e l’accezione del nutrire è amplissima. Si nutre il cuore, si nutre la socialità, si nutre lo spirito, si nutre la mente. Si nutre lo stomaco.
Se la generazione di mia mamma ha dovuto lottare per indossare una minigonna: da leggersi avere proprietà indiscussa sul proprio corpo, la mia generazione ha dovuto lottare per riprendersi il lievito madre, su framentu a Cagliari.
Non me lo ha insegnato mia madre, non me lo ha insegnato mio padre o le mie nonne: ma il mondo me lo ha ripetuto così tanto con immagini, storie, racconti, film che ho finito per convincermene: per arrivare a fare qualcosa di buono, qualsiasi cosa di buono, avrei dovuto rinunciare a fare i biscotti in casa, a fare il pane in casa, a fare la pasta in casa, a creare ambienti confortevoli, a curare giardini magici. Si doveva rinunciare ad essere casalinga. Si doveva rinunciare a essere meri ‘e domu. Come se avere una carriera e avere uno spazio sacro fosse inconciliabile.
Tutte bugie. Io ci sono riuscita e dunque la cosa è ben fattibile per tutte.
Si tratta di poter scegliere: non tutte devono usare il lievito madre, ma tutte devono avere il diritto di poter scegliere. E oggi questo diritto ce lo possiamo riprendere.
In questo senso la mia generazione è fatta di donne che lottano per riprendersi il lievito madre (ma potrei dire le forbici da taglio o il mortaio).
E’ stato un modo per dire: non ci sto. Io faccio quello che voglio. Io faccio quello che sento. E’ stato un atto di estrema ribellione. E’ stato un atto da strega.
E quest’atto da strega mi ha portato qui a parlare con te.
Si cresce accogliendo, non negando.
In questo senso la figura della jana sarda mi ha insegnato molto (anche in fatto di miti e negazione il sardo ne sa qualcosa, ma sto lavorando anche su quel campo). Le janas sono un segno, sono un simbolo, sono un archetipo, sono antenate. Io con loro ho fatto pace, a patto che ce ne fosse la necessità, e ora sono fedelissimi spiriti che mi guidano. Indipendenti, naturali, originarie, maestre, madri e madrine, streghe, erboriste, avventurose, notturne, lunari. Insomma ce le hanno tutte!
Lievito madre e Janas. Ecco quello di cui parleremo durante il seminario di venerdì 15 Maggio. Per iscriverti puoi contattarmi al mio indirizzo email: kla.zedda@gmail.com
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