Paesino incantato, organizzatrici ospitali, pubblico numeroso e attento. Cosa può chiedere di più una scrittrice ospite di incontro tutto stregato? Niente dico io. Per questo conservo di Bauladu un meraviglioso ricordo: il borghetto è bello tanto che mi sarebbe piaciuto scattare qualche foto e la chiacchierata è andata liscia, intervallata da piacevoli letture.
Quindi grazie a Le Janas (Tamara, Sandra e Francesca) e al Comune di Bauladu.
Fintanto che esisteranno comunità come la piccola Bauladu, ci sarà ancora speranza per la cultura in Sardegna.
Se non sei riuscita ad intervenire all’appuntamento trovi a seguire alcune delle letture che ci hanno intrattenuto, tratte dai miei libri (Creature Fantastiche in Sardegna ed Est Antigoriu).
1 Lettura – Creature Fantastiche in Sardegna
“Più comunemente per strega vampiro si intende un essere vivente, meglio se donna, che vive nel villaggio nel quale agisce, dove lavora e instaura una serie di rapporti sociali. Chiunque può segretamente essere strega vampiro: questa infatti non può essere riconosciuta a causa dell’aspetto esteriore; nessun tratto la caratterizza. Solo secondo alcune testimonianze raccolte la strega sarebbe caratterizzata da tratti particolari: una spiccata bruttezza (paridi una conch’e coga), un aspetto diabolico, una notevole pelosità del corpo, lunghezza delle unghie e capelli increspati, sono tutti elementi che potrebbero essere nati successivamente, nella fase di demonizzazione della creatura fantastica. Calvia ci racconta che queste donne possiedono due tratti fisici che aiutano ad indicarle come streghe in maniera inconfondibile ma purtroppo questi sono per lo più nascosti. Si tratterebbe di una piccola coda d’acciaio, o di una croce pelosa posizionata nella schiena. Tratti particolari sì, ma come già detto, non visibili a tutti, se non alla nascita”.
2 Lettura – Creature Fantastiche in Sardegna
“A pili in esse, a pili in fache, in domo de comare, mi che agatte”.
La strega agisce chiaramente a notte inoltrata. Secondo alcune leggende agirà nell’arco delle tre ore antelucane: ha a disposizione un’ora per arrivare sul luogo, un’ora per svolgere il proprio incarico, un’ora per far ritorno a casa.
Le metamorfosi tipiche sono in animale, in moscone, mosca, insetto, uccello notturno: l’obiettivo è di volare il più rapidamente possibile verso la casa della comare che da poco ha dato alla luce un pargolo.
La strega può inoltre rendersi invisibile, mutarsi in gatto, in filo di cotone, in gomitolo o fumo. Così trasformata si addentrerà nella casa passando attraverso la serratura o attraverso una fessura qualsiasi del tetto, se trasformatasi in insetto o filo, o attraverso le finestre e le porte sbadatamente lasciate aperte, se mutata in gatto o uccello; questo le consentirà di raggiungere rapidamente su brozzolu, la culla.
3 Lettura – Est Antigoriu
“No, la prima volta non la ricordo. È stato tanto tempo fa”. Con un pizzico di imbarazzo e con un sorriso largo quanto basta, Francesca racconta lucidamente la sua storia. È una donna che vive nell’hinterland cagliaritano, figlia, moglie, madre e nonna, ma a tempo perso operatrice di un mondo magico che ancora oggi sopravvive. Il suo portamento è fiero e il suo sguardo sicuro, di chi ha vissuto pienamente e di rimpianti non se ne porterà dietro poi troppi. La sua ospitalità è tutta sarda. Nonna Francesca fin da ragazza è stata abituata a combattere a suo modo uno di quei nemici silenziosi e tremendamente eterei che hanno attanagliato la società, e quella sarda non è stata da meno.
Hanno definito il Malocchio in tanti, in troppi modi, ma sostanzialmente si tratta di un male che prende un individuo e ammala un intero gruppo. È per questo deve essere combattuto. Chiunque ne resti colpito verserà in grave stato di crisi che nei casi più tragici potrebbe culminare con la morte. Una malattia con la quale non si può scherzare. Credere che il Malocchio esista è più un fatto di fede che di voglia e ad oggi a crederci sono in tanti. “In tantissimi — precisa nonna Francesca — e non fa differenza che siano operai o dottori, quando le cose vanno male, sono in molti quelli che mi chiamano”. Una malattia democratica, bisogna dargliene atto, che si manifesta in molti modi diversi, ma che ha il potere di influenzare in negativo la vita di ciascuno di noi. “Quando le cose ti vanno male, quando ti senti sempre stanca, quando la tua attività non va come dovrebbe inspiegabilmente, è probabile che si sia colpiti da malocchio”.
Lei non ha dubbi che il malocchio esista, soprattutto perché lo ha curato tante di quelle volte da non ricordare più la prima. Una dote ereditata dalla nonna, che prossima alla morte si decise a regalare l’arte ad una giovane e bella Francesca, che anni più tardi racconta della cura de s’ogu liau, letteralmente dell’occhio preso. È qualcosa a cui Francesca è abituata, ma che evoca nell’ascoltatore un mondo atavico, antico, che ancora vive. “Vedevo farlo da mia nonna, e quando mi ha consegnato la preghiera non ho avuto il minimo timore”.
Nell’era dei portatili, delle connessioni internet e di Facebook, nonna Francesca cura il malocchio con i mezzi semplici. E a ricercare i suoi servigi sono in tanti, sempre. Dopotutto come si può affrontare un male inagguantabile se non con una cura invisibile? Generosamente Francesca mostra come si possa realizzare la medicina dell’occhio, ma prima elenca il necessario: “un piatto, dell’acqua e dell’olio, poi chiaramente c’è la preghiera”. Tentenna appena pensando alla preghiera, ma nonna Francesca è generosa, l’abbiamo detto, e la preghiera, carica di tutto il potere della parola, la recita a voce alta. Sarebbe inutile trascrivere le parole che profumano di religione e di santi, visto che “il potere la preghiera lo acquista una volta passata, ma soprattutto dopo la morte di chi l’ha lasciata in eredità”.
La cura è un’alchimia di parole recitate, di croci, di sacralità profumata d’olio d’oliva e carica del potere simbolico del numero tre. “Se l’olio compatto galleggia e non si aggrappa ai bordi del piatto la persona non è presa ad occhio, diversamente il malocchio c’è e va tolto”. Come? “La medicina va ripetuta per tre volte, in tre giorni e ore differenti e a conclusione la persona è guarita”. Francesca risponde alle domande con la naturalezza e con un italiano chiaro e pulito. Dal suo raccontare trasuda il buon senso di una generazione abituata ai sacrifici, capace di curare anche quel male che non si mostra. “No, non ho ancora deciso a chi passare la preghiera, non sono così vecchia”. Ride apertamente e non nega che la sua arte antica domani sarà di un’altra nonna, in un circolo di saperi che non finirà. È così, in fondo, che la cultura tradizionale sopravvive di donna in donna.
Photo Credit – Le Janas
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