Era da un sacco che non lo facevo, ma questa estate ce l’ho fatta. Sono tornata a Nuoro e quando io faccio ritorno a Nuoro ci sono almeno tre posti che devo visitare: il cortile di Grazia Deledda, il Tettamanzi e naturalmente il negozio di artigianato che amo di più al mondo, quello di Signora Giacomina (Arte sarda di Fancello).
E naturalmente tutte le volte che entro in quel meraviglioso antro delle janas, devo assolutamente acquistare un amuleto. Questa volta ho optato per un ciondolo che incastona osso di cinghiale, corallo e campanelle. Mirabolante e vistoso. Ma soprattutto segno. E ora ti racconto di che cosa.
Quando l’osso diventa amuleto
E’ un oggetto incredibilmente vistoso e se ti stai chiedendo perché la mia scelta sia caduta proprio su questo amuleto, la risposta risiede nel meraviglioso mondo dei simboli.
Quando l’ho visto è stato inevitabile pensare a questo oggetto che vedi sotto. Si tratta di una incredibile collana datata sec. XVIII-XVII a.C. E’ costituita di conchiglie, zanne di cinghiale e dente di canide ed è stata ritrovata a Soleminis nella fossa di Is Calitas. Se la vuoi vedere dal vivo è esposta a Cagliari presso il Museo Archeologico Nazionale.
Per cui l’ho voluta. Perché mi ha ricordato che noi come sardi incastoniamo e portiamo al collo ossi, zanne e denti da più di duemila anni.
E se non sai perché te, sei nella pagina giusta.
Il simbolismo delle ossa
Nessuno di noi è immortale, il tempo che trascorre continua a ricordarcelo. Ma nel nostro corpo qualcosa sembra esserlo, eterno intendo. Le ossa che restano davvero molto a lungo dopo la nostra morte.
Culturalmente sono intese come un vero e proprio deposito di esperienza ancestrale. Tutto quello che la persona o l’animale hanno vissuto e sono stati è depositato nelle ossa.
Ancora meglio: in molte culture rappresentano il punto di partenza per la rianimazione dei morti.
Non è un caso se i popoli cacciatori delle regioni artiche evitavano di spezzare le ossa della selvaggina catturata: queste venivano seppellite integre, disposte in forma originaria di modo che si sarebbe ottenuto il perdono dell’animale e la sua disponibilità ad essere ancora ucciso per la sopravvivenza dell’uomo, durante le future incarnazioni dell’animale.
Qualcosa di molto simile avveniva in Sardegna all’interno delle Domus de Janas, ma non è finita qui.
Nel meraviglioso libro di Max Dashu, Streghe e Pagane, vengono riportate diverse accuse a carico di donne definite streghe. Le si accusava d’essere in grado di riportare in vita i defunti (animali e umani) assemblando a dovere le ossa e riproponendone la composizione originaria. La credenza antichissima, evidentemente era condivisa anche nell’Antica Europa.
In Sardegna
L’uso di ossi animali e ossa umane è attestato e confermato anche in Sardegna. Se l’archeologia, come raccontato sopra, è stata in grado di ritrovare e conservare meravigliose collane ornamentali e certamente apotropaiche datate XVIII-XVII a.C. che testimoniano l’uso delle ossa, lo studio delle tradizioni popolari è stato in grado di attestare un uso vivo in Sardegna fino agli anni cinquanta del secolo scorso: le protagoniste in Tertenia erano le ossa craniche umane.
Pare che in caso di estrema siccità fosse uso immergere in acqua teschi che venivano prelevati dall’ossario paesano. I commentatori che hanno condiviso questo uso ricordavano che dopo il rituale, generalmente la pioggia arrivava copiosa.
In tutta l’isola era invece noto, fino alla prima metà del secolo scorso, l’uso di immergere in acqua dolce o salata il santo di turno, ancora una volta per convincerlo a mandare la pioggia. Questa era probabilmente estensione di un uso ben più antico: immergere ossa o statue di santi era ritenuta una tecnica per contattare direttamente il defunto o il santo e per convincerlo a far piovere. In questo senso risulta chiaro come le ossa siano state ritenute deposito di una conoscenza, di una consapevolezza e di una presenza eterna.
I due usi sopra descritti vengono spesso citati per attestare la presunta presenza, nella Sardegna più antica, di sacrifici umani. Quello che in realtà confermano è che il sardo conosceva il simbolismo delle ossa e in quanto deposito di anima, conoscenza e consapevolezza le utilizzasse.
Il fatto che ancora si conservi l’uso di amuleti a base di ossi animali (ma anche zanne, conchiglie e chele di granchio), mette in mostra il fatto che l’osso come simbolo abbia mantenuto invariato per secoli il suo significato.
L’abitudine di indossare ossi di cinghiale soprattutto veniva giustificata nell’isola dal fatto che, e qui torniamo a quello già detto sopra, fossero deposito di tutte le emozioni, di tutte le virtù e di tutti i caratteri dell’animale.
Sul cinghiale ci sarebbe tanto da dire, qui basti sapere che il suo coraggio, la sua furbizia, la sua saggezza naturale, la sua forza gli valsero spesso l’appellativo di tiaulu, diavolo, bestia del diavolo.
Indossando dunque un osso di cinghiale si era certi che i caratteri della bestia si sarebbero traslati sull’uomo e che questo se pur non fosse diventato coraggioso, furbo e saggio sarebbe stato per lo meno protetto dallo spirito dell’animale che ancora sopravviveva nelle sue ossa.
Amuleto da uomo, perché alla donna la Sardegna e in genere il mondo riservava altro: soprattutto conchiglie simbolo e segno di fertilità.
Tra il 1500 ed il 1600 ancora Julia Carta inseriva fra gli ingredienti immancabili delle sue cure la polvere di ossa. E ora potrai immaginarne il perché: sono simbolo di eternità, sono deposito archetipico delle esperienze di chi quelle ossa, in vita, hanno sostenuto e mosso.
Indosserò con fierezza quell’amuleto consapevole del fatto che, come ogni altro amuleto della mia gente, il suo scopo sarà quello di segnarmi come natura. E quando Ikussa mi vedrà con indosso Natura le sarà inevitabile sentirmi come una delle sue figlie più fedeli.
Leave a Reply