Mi piace il passato, delle volte mi piace più del presente, ma mai più del futuro che non ti aspetti.
Mi piace riviverlo nelle parole altrui, siano esse scritte, siano esse dette, raccontate o cantate.
Mi piace quando sono gli anziani a parlarmi del proprio passato, nemmeno troppo distante dal mio presente eppure, nel loro raccontare rivive una Cagliari che io non ho mai conosciuto, nella quale frugo avida, una Cagliari più giovane, più affamata, più concreta, che sapeva piangere, ma che pure sapeva ridere di cose semplici.
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E’ strano pensare che anche i nostri anziani siano stati ragazzi, è insolito immaginarli con tutta un’esistenza di scelte davanti, è difficile intuire cosa doveva essere la loro vita di giovani cagliaritani.
E’ stata guerra, tanto per cominciare, della quale noi sappiamo solo quello che abbiamo letto nei libri, è stata fame, è stata precarietà, ma è stata anche divertimento, spensieratezza, voglia di sperimentare. D’altronde si è giovani una volta sola, anche se si è stati ragazzi durante gli anni 40 del secolo scorso.
E’ davanti ad un caffè, di quelli intensi e scuri che solo lei sa fare, che mia nonna mi racconta della sua vita da ragazzetta. Io giro il cucchiaino nella tazzina colorata di bianco e scuro e ascolto.
<<Funti prusu sbeliausu[1]! Prima non è che si uscisse così tanto la notte…>>
Mi dice, stringendo un legame fra i giovani di ieri e quelli di oggi. Poi salta fuori che anche ieri, di tanto in tanto, in buona compagnia, anche di notte, si usciva.
<<Andavamo al Terrapieno[2], insieme a mie cugine. Erano tutte mattuccheddasa[3] e zia mi lasciava andare con loro>>. E prosegue:<<D’estate suonava un’orchestrina,>> e dopo una breve risatina <<lì ho imparato a ballare!>> Proprio là dove d’estate, ancora oggi suonano orchestrine e c’è chi balla, c’è chi beve, ch’è chi ride con lo sguardo tuffato contro il mare di Cagliari. Penso immediatamente che certe cose non possano davvero cambiare.
<<Delle volte poi si andava al Poetto, ma la sera, per recuperare la giornata di lavoro persa rimanevamo a cucire fino alle tre del mattino, perché gli abiti il giorno dopo dovevano essere consegnati…>>.
E’ stata sarta da ragazzetta mia nonna, e proprio sul posto di lavoro ha conosciuto il marito, esattamente come capita anche oggi, solo lei era giovane, giovanissima per quanto si definisse mattucchedda; d’altronde mi spiega, a 16 anni, negli anni 40 del secolo scorso, si era già adulte.
Su fastiggiu[4] alla maniera cagliaritana mi ha sempre affascinata: sentirla raccontare di quando faceva “all’amore” con nonno è un po’ come leggere “Karalis: la città del Sole” di Alziator, solo raccontato con più enfasi, insaporito dai ricordi e dagli sguardi.
Non che abbia mai visto nessuno che parlasse tramite quel rudimentale telefono fatto di barattolini con il fondo di pergamena, congiunti da un filo teso, ma che su fastiggiu avvenisse per mezzo di balcone e sguardi questo sì, se lo ricorda bene.
E’ come vedere un film, la lascio raccontare: <<Sì, delle volte anche Vittorio veniva sotto il mio balcone. O si parlava, o più spesso ci si guardava anche perché eravamo sempre sotto l’occhio di mia zia, che non voleva mi sposassi troppo giovane. Più che cussa cosa[5]>>, riferendosi al rudimentale telefono, <<alcuni cantavano qualche serenata alla fidanzata dalla strada>>. Ma pare che mio nonno non si sia mai cimentato. Strano mi dico io, sarebbe stato proprio da lui, mentre mi immagino gli stretti vicoli di Castello tutti colorati di pezze appese ad asciugare, mosse dal vento che ancora oggi si incanala fra le viuzze calaritane.
Nessuna passeggiata, nessuna fuga amorosa, <<c’era sempre zia Emma. Si sedeva in mezzo a noi e molte delle nostre sere trascorrevano così…>>. Sorrido, cerco di immaginarmi la scena, ma sono figlia dei miei tempi e quando ero ragazzetta io non c’erano zie che mediavano l’innamoramento. Penso a quanto i tempi siano cambiati, ma quando chiedo a lei quanto le paiano diversi i ragazzi d’oggi rispetto a quelli di ieri fa spallucce, quasi che mi voglia dire che saranno pure cambiati i tempi, ma gli uomini e i sentimenti che sanno provare, quelli no che non possono cambiare.
Mi domando cosa direbbe se sapesse che oggi ci si incontra tramite social network (sì, sa perfettamente di cosa si tratta) e se scoprisse che un numero sempre maggiore di ragazzi, ad una ricchissima vita digitale può contrapporre una scarsa attività sociale. Forse si sorprenderebbe meno di quanto non abbia fatto io scoprendo l’esistenza di un sito che consente (fra le altre cose), per soli 5 dollari, d’avere una ragazza “virtuale” su Facebook. Chiuderebbe probabilmente la faccenda con un bel “funti scimproriusu[6]” con quella sua alzatina di spalle e arricciatina di naso che le appartengono da che la conosco.
In fondo ogni decennio ha le sue stranezze, e se quello di mia nonna poteva avere i Cavalieri de braghetta[7], non vedo perché il mio non possa avere le fidanzate virtuali su FB pensate tanto per movimentare la vita di tutti i giorni.
Lavo le tazzine, la bacio, la saluto, e lascio che quella vecchia Cagliari si addormenti ancora in attesa delle prossime serenate.
Claudia Zedda
Photo Credit: claudia.zedda
Febbraio 17, 2012
E’ bello vedere che ancora i giovani si interessano alle storie dei vecchi. Complimenti Claudia mi hai riportato indietro negli anni ai racconti di mia madre.
Ti seguirò con piacere d’ora in poi.
Ps. Nemmeno io ho mai sentito parlare di quel telefono rudimentale.
Al prossimo articolo.