“Ma tu un tesoro lo hai mai trovato?”
“Io no, ma è stata colpa mia. Ce lo avevo proprio sotto il naso.”
Mi faccio un caffè e ascolto, girando il cucchiaino nella tazzina bianco avorio, il racconto di mia nonna che come ogni sardo che si rispetti non solo sa cosa sia su scusorgiu, ma ne ha avuto proprio uno a portata di mano.
“Quando questo fatto è successo io ero ancora una bambina e abitavo in paese con mio padre e i miei fratelli. Mi ricordo che quella notte fui svegliata da un forte vento che sbatteva contro le finestre e da una voce insistente: aperti gli occhi mi trovai davanti mia madre”.
“Ma tua madre non era già morta?”.
“Eh appunto. Per questo all’inizio mi spaventai, ma nonostante tutto la ascoltai. Mi disse che proprio in cucina sotto una trave del pavimento di legno, quella che scricchiolava sempre, c’era nascosto un tesoro. –Barbarella– mi disse, –se lo vuoi devi andare a prenderlo ora senza dire niente a nessuno–, ma io avevo paura e non mi alzai dal letto.”
“E non hai mai guardato sotto quella trave?”.
“E come no. La mattina dopo ho aspettato che tutti uscissero e ho provato a sollevarla. Alla fine ci sono riuscita rovinandola un po’; sotto la trave c’era un piccolo buco profondo qualche centimetro. Ci ho infilato la mano e dentro ci ho trovato carbone.”
“Carbone?”
“Eh sì, i tesori se li lasci sul luogo dopo che qualcuno te li regala si trasformano subito in carbone”.
Lavo le tazzine e la caffettiera. Il gusto del caffè fatto con la moca di nonna non ha paragoni: gliela dovrò chiedere in eredità. Dal cucinino distante pochi metri dal salotto le urlo: “Una bella occasione persa. Non trovi? Non te ne sei mai pentita?”
“Manco po nudda[2]. Io conosco chi ha trovato un tesoro e non ha fatto bella fine. Li conosci i Pintus? Eh, quando ero ragazzina io in paese si raccontava che Signora Francesca (bon’anima) avesse trovato un tesoro che aveva fatto arricchire la famiglia.”
“A sì?” “Eh, proprio così, ma lei dopo qualche mese è morta e i figli funti tottusu struppiausu[3]. Ricchi ma poco felici. I soldi non si trovano, i soldi si lavorano.”
La abbraccio, le dico di chiudere bene la porta e me ne torno a casa.
Sul lungo Poetto mi torna in mente la storia di mia nonna. E’ simile alla miriade di altre storie che nonnine non troppo differenti dalla mia mi hanno raccontato. Da su contu[4] saltano fuori tutti gli elementi salienti: c’è il custode del tesoro, un defunto o una creatura fantastica, c’è un bambino innocente a cui il tesoro viene destinato, c’è la paura (che non ho ancora capito bene se sia paura del buio, dell’ignoto o della ricchezza) che se si asseconda fa perdere l’occasione, c’è la fortuna del non aver raccolto il tesoro, e c’è la convinzione che il tesoro esista davvero.
In questa storia non manca nemmeno la morale, come accade per altro in qualsiasi altra storia della tradizione sarda: l’equilibrio sociale non si può alterare così facilmente, semplicemente trovando un tesoro. I soldi si devono guadagnare con fatica e in una società tradizionale chi si eleva troppo al di sopra degli altri viene punito: oggi gli si fanno andar male gli affari, ieri era la divinità a punire il troppo fortunato inviandogli un bel pacchetto di sfortuna.
E la sfortuna non era tutto: i cercatori di tesori sardi ben organizzati, quelli che sapevano leggere, muniti di libro del comando e di pala, se mentre salmodiavano lo scongiuro per il ritrovamento del tesoro erano attraversati anche da un solo brivido di paura, beh, sarebbero morti entro l’anno. Un lavoro difficile e pericoloso, non c’è che dire. La paura d’altronde era ben comprensibile: lo scongiuro risvegliava la creatura a protezione del tesoro che faceva di tutto per intimorire il cercatore.
Di rientro a casa sfoglio il mio “Creature Fantastiche in Sardegna”; lungo le ultime pagine rileggo l’attacco dello scongiuro “Io vi comando, demoni che risiedete in questi luoghi… di rivelarmi i vostri modi, lo vogliate o non, senza inganno e di lasciarmi agevole possesso di questo luogo…” effettivamente mette un po’ i brividi.
Chiudo il libro certa che la smania del tesoro non mi prenderà mai d’altronde quella de su scusorgiu è una delle poche occasioni che mi lascerei scappare volentieri. Deu non bollu accabbai tottu struppiara[5], come direbbe mia nonna!
Fatti, persone e luoghi presenti in questa storia sono frutto della mia fantasia… o forse no?
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