E’ donna l’acqua, esattamente come di donna sono le mani che dai primordi la mescolarono, la miscelarono e la dispensarono.
Non solo donna ma pure sacra e originaria, brodo all’interno del quale la vita nasce e si spegne, eppure solo temporaneamente, dimora di spiriti, che conserva i segreti del passato, e racconta quelli del presente e del futuro.
Solo ad alcune donne, invasate dal nume, dal fosco parlare sibillino, fu consentito di conoscere il linguaggio delle acque, il sapore dell’arcano, il profumo del nascosto e del silenzio che riconobbero prezioso come la parola.
E solo ad alcune donne fu concesso di vegliare su quelle acque che nell’isola di Sardegna i commentatori antichi definirono “benedizione”. Impreziosite dal contatto con la potente divinità ctonia, Grande Madre di Sardegna, le acque s’impregnarono di un potere terapeutico che ben riusciva nella cura degli occhi e nella cura delle ossa indebolite, che metteva alla prova i traditori e che sigillava i patti.
Era in grosse pozze d’acqua che si immergevano i sottoposti alle ordalie, e quel che l’acqua donava, l’acqua era capace di reclamare. Avrebbe privato i bugiardi della vista e incrementato il potere degli occhio dei giusti. C’è chi nel bronzetto nuragico dell’eroe con quattro occhi, vede appunto un guerriero sottopostosi alla prova, che venne superata con successo.
Acqua che cura attraverso le donne
La tradizione di Sardegna conserva nelle sue leggende, le antiche credenze che vedevano l’acqua guaritrice e le donne dispensatrici del prezioso liquido. Passeggiando nei pressi del pozzo di Su Gologone si potrebbe far la conoscenza, ad esempio, di Maria Abbranca. Su contu la vuole demone femminino che vive un letargo silenzioso nel fondo del pozzo, tutto inciso di antichi passaggi sotterranei, misteriosi cunicoli e spaventosi anfratti. Si desta solo quando il suo sonno silenzioso viene rotto, e punisce il colpevole afferrandolo e trascinandolo in quel mondo di buio, di terra e di acqua che la vede regina.
Ma Maria Abbranca, esattamente come le sue sorelle Farranka e Mangrofa non sono altro che figlie della Madre Dea. Alcune leggende la dicono mama ‘e vuntana, altre mama ‘e su pothu, oggi demone femminile, ieri, come probabilmente il sostantivo mamma vorrebbe significare, donna divina posta a controllo dell’elemento sacro: l’acqua.
Non stupisce dunque che alcuni, interessati di cose sarde, abbiano dato a sa mama ‘e vuntana il nome di Orgìa fantastica figura pietrificatasi per il dolore causato dalla perdita dei propri figli.
Madre dunque, ma non solo, legata immancabilmente all’elemento liquido e cristallino dal proprio nome, la cui radice trascinerebbe in un mondo umido, boscoso, fresco, fertile e fecondo. Insomma una Dea e Madre posta a custodia dell’acqua, che nell’acqua vedeva nascere e morire la vita, e che nei contusu sardi lentamente cristianizzati, fu prima maga ed infine gigantessa demoniaca e strega.
Eppure il dominio del sacro per mezzo del l’acqua ha continuato ad essere, silenziosamente, cosa da donne. Se le sacerdotesse di ieri dovevano avere la forma e la sostanza di Maria Burra, maschera orgolese impiegata fino agli inizi del secolo scorso, vestita de sa burra[1] e di un cucchiaio dal lungo manico, grazie al quale dispensava l’acqua che portava, contenuta in una zucca, sopra la testa, più tardi le moderne sacerdotesse presero forma di donne che dispensavano acqua in silenzio, durante la vigilia di San Giovanni Battista, praticando l’antico rituale de s’abba muda, o di esperte delle terapie magiche che curano s’ogru malu o s’ogu pigau versando olio, grano, sale o pietre sull’acqua e attendendo che il liquido dia risposta.
Se il malocchio, tremenda febbre che colpisce la persona e ammala l’intera società ha colpito, verrà curato con un rituale che si ripeterà uguale per tre volte durante la giornata. In questo modo si avrà la sicurezza di combattere s’ogu pigau nella fase della giornata durante la quale è stato preso.
E’ l’acqua l’elemento fondamentale e la parola, su brebu, che rompe il silenzio solo per riempire l’aria di significato.
Poi le moderne sacerdotesse dell’acqua si immergeranno ancora una volta nel proprio antico silenzio, che racconterà a tutti quelli che sapranno ascoltare.
E’ donna l’acqua, e donne sono state e saranno le sue interlocutrici privilegiate che ne conoscono i misteri, che ne comprendono la lingua e ne conservano i ricordi.
Claudia Zedda
[1]Il mantello
Photo Credit: http://sifiko.deviantart.com/
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