Poetry day: esperimenti di Blackout poetry
La poesia è un sogno. Insomma sei sveglio, ma credi di dormire. Fosse un fiore direi che è quello della rosa canina: il suo profumo lo indovini fra la vegetazione, lo segui perché è dolce, e tu dimentichi d’essere donna, ma ti senti ape. Chi riesce a trovarlo quel fiore se lo porta al naso e cerca di annusarne l’essenza. Ma niente, lui si disfà e in mano ti rimangono i petali trasparenti, come un ricordo. Puri, brillanti, bagnati forse di rugiada. Quelli che maneggiano male la pianta ne vengono feriti, perché la canina è una rosa, ma fra le rose la più selvatica e pungente. Se la poesia fosse un fiore sarebbe di rosa selvaggia e canina.
Ma la poesia è poesia, e sotto le sue coperte mi nascondo spesso. Sogno tra una sillaba e l’altra, piango, mi esalto o mi indigno. Vi trovo pure ispirazione.
La tecnica della Blackout Poetry mi è piaciuta subito: funziona così: prendi una poesia che ami, elimina alcune parole ed esaltane altre. E dalla poesia originaria, già bellissima, ne nasce un’altra, essenza, senso, significato, sorgente; in parte è tua.
Io oggi, per il #poetryday ho voluto giocare con Shakespeare W., che spero non me ne voglia per aver dato rilievo ad alcune parole più che ad altre.
“Noi siamo della stessa stoffa di cui sono fatti i sogni
E nello spazio e nel tempo d’un sogno
È raccolta la nostra breve vita”
Che nel mio gioco è diventato: “Sogni, spazio e tempo. La nostra vita”.
Abbiamo bisogno di donne e uomini che raccolgano l’elicriso e la lavanda, che facciano il pane, che parlino con l’acqua e saltino il fuoco. Abbiamo bisogno di donne e uomini che si addormentino sotto le stelle, ballino con le lucciole e insegnino a farlo anche ai propri figli. Abbiamo bisogno poeti perché nella poesia c’è tutto il bello che la natura nasconde dietro ai fiori.
I materiali che vedi in foto mi sono stati generosamente donati dalla Viking che evidentemente crede nel valore delle parole, e per questo merita la mia stima.
#VikingWorldPoetryDay
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