Per raggiungere Baunei siamo partiti direttamente da Castiadas e curva più, curva meno, seguendo la nuova 125 ci si impiegano circa 2 ore. La strada è tutta buona, e pure quando ci si inserisce nella vecchia 125, la rossa orientale sarda, si procede senza grossi intoppi (eccezion fatta per qualche camion che ti può capitare di incontrare e a quel punto non ti resta che goderti il panorama).
L’appuntamento era per le dieci nella piazza principale di Baunei, che davvero è impossibile non trovare. La città è piccola e si srotola tutta intorno ad una costante retta che conduce direttamente a Piazza Indipendenza. Lo spettacolo inizia a qualche chilometro dal centro cittadino quando superata Santa Maria Navarrese la strada si attorciglia immergendoti nel cuore dell’Ogliastra. Macchia mediterranea, strapiombi, roccia e cielo sono i veri protagonisti del paesaggio. Io mi sono legata più stretta la cintura, che le strade troppo sinuose, te lo confesso, mi mettono a disagio, e mi sono goduta il paesaggio selvaggio e antico. Ti separa dallo strapiombo, nelle curve più audaci, un piccolo guard rail in pietra: hai la sensazione di poter spiccare il volo. Vien da chiedersi come diavolo siano riusciti ad abbarbicarsi su quel cucuzzolo imperioso, in un paradiso di pietra e cielo i suoi abitanti.
Bella è bella Baunei, c’è da dirlo subito, con quelle donnine anziane vestite di scuro, e con quella cortesia che ti fa apprezzare la vita di paese. In attesa che il trenino partisse ho fatto amicizia con due donne che riordinavano il museo etnografico locale: “No, qui i culurgiones non li facciamo a forma di spiga”, chiariscono subito le due signore, e scoperta una conoscenza in comune, promettono di aspettarmi per una prossima visita. Le salutato con un sorriso e mi infilo nel trenino immacolato della quale potenza inizialmente ho dubitato. D’altronde quel che ho letto sui tornanti che da Baunei portano fin su all’altipiano di Golgo, non sono confortanti. Scoprire che il trenino si muove per merito di un motore di trattore montato su una struttura delicata, mi ha rincuorato. Il trenino è comodo, l’autista regala subito sicurezza: tiro fuori dalla sacca la mia Canon e mi predispongo ad assorbire dagli occhi e dalle narici meraviglia.
La guida è entusiasta di raccontarci del passato del proprio paese: Baunei è entrata a far parte del mondo quando è stata toccata dall’Orientale Sarda, prima di che raggiungerla doveva essere una vera impresa.
I tornanti sono impegnativi come me li immaginavo e tu ti senti in un ascensore che sale su, fino al cielo. Con l’occhio si possono raggiungere i paesi vicini finché non si scivola verso il mare, che in quella giornata di mezzo agosto era una piatta.
Chiacchierando con la guida scopro che il progetto “Trenino Supramonte” è giovane, giovanissimo e che fin da subito ha avuto un notevole successo. I tornanti finiscono presto: penso che affidarsi al trenino sia stata una grande idea e inizio a ritenere che quelle 25 euro siano state davvero ben spese.
Lentamente raggiungiamo la Bia Maiore, una linea retta che attraversa l’altopiano di Golgo. Gli strapiombi e le visuali da cartolina lasciano spazio a quella pace che miracolosamente si può respirare solo a mollo nella macchia mediterranea. Quel territorio i baunesi hanno deciso di non venderlo a nessuno, anche quando ne avrebbero avuto necessità: oggi è un’ottima riserva di legna, fra la quale compaiono qua e la mucche, asinelli e maiali. Pare che il dintorno sia letteralmente invaso dal muflone, ma oggi non ce n’è traccia: non è sempre natale!
La prima tappa del viaggio è nei pressi di fascinose pozze basaltiche “As Piscinas”, un tempo unica vera riserva idrica del luogo. L’acqua qui è torbida e stagnante, ma nei momenti di magra, ci racconta la nostra guida, queste pozze hanno salvato la vita non solo degli animali, ma anche degli uomini. Quando l’acqua mancava sull’altopiano, As Piscinas erano una vera e propria manna della Dea.
Un luogo sacro, ci viene raccontato, poco distante dal quale si può scorgere un circolo megalitico oggi solo intuibile. Non è troppo difficile immaginare donne e uomini riuniti a pochi passi dall’acqua a deliberare su chissà quale problema. I nuraghi, che ci sono anche in zona, sono invece ben nascosti fra rocce e vegetazione.
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Salutiamo As Piscinas, e scivoliamo fino a Su Sterru, quella che alcuni chiamano la voragine del Golgo, famosa, famosissima. E’ una fossa carsica profonda 290 metri, centimetro più, centimetro meno. Qualcuno ne ha pure visitato il fondo che è un ammasso di piccoli conci ammucchiati: nessuna traccia di ossa, di incisioni su pietra o di segni di vita, d’altronde sprofondare nel ventre della terra non è cosa da tutti.
La guida ci fa notare che nel dintorno ci sono davvero pochissime pietre: sono state tutte lanciate dentro la gola, per testarne la profondità. Lo facciamo anche noi e percepiamo solo un battito, poi perdiamo traccia della piccola pietra, ora fra le tante che riempiono la voragine. La leggenda vuole che Su Sterru sia stato provocato da San Pietro che liberò Baunei dal pericolo rappresentato da Sa Serpente, una creatura gigantesca che venne agguantata per la coda dal Santo e lanciata a terra: lo schianto creò appunto Su Sterru. Leggenda deliziosa, che ci accompagna fino alla piccola chiesetta dedicata appunto a San Pietro: non poteva certo mancarne una. E’ letteralmente una favola: l’accesso è garantito da una fine mulattiera abitata da vacche, maiali e asini, i più curiosi. La chiesetta sembra uscita fuori da un film messicano, dalle pareti candide e che chiude fuori il mondo con il suo delizioso portoncino di legno. All’interno del recinto non solo la chiesa, purtroppo chiusa, ma anche quelle che credo siano state cumbessias (lo confesso mi son persa la spiegazione, tentata dalla mia Canon diabolica). Il pezzo forte è però un favoloso betile scolpito: di simili non ne ho visti altri in Sardegna e sta a guardia di quella chiesa persa nel niente. Penso a quanto possa essere suggestivo viverla all’imbrunire.
Dopo essere stata scippata dei miei grissini da asini fin troppo simpatici siamo stati trascinati poco distanti nel grazioso “Il Rifugio”, un piccolo ristorante albergo nel bel mezzo del niente! Credevo l’avventura fosse finita, ma dopo una bella visita alle barraccas, le pinnettas della zona, con il classico cappello alla baunese, costruite in pietra e ginepro, siamo stati portati fino alla maschera di pietra: la si raggiunge discendendo una scala di ginepro, che si aggrappa alla roccia locale.
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Mi sentivo un po’ Claudia La Marmora, con meno equilibrio del solito, quindi mi sono aggrappata bene al ginepro che mi ha promesso non mi avrebbe lasciato cadere e sono arrivata in pochi passi a questa pietra sorprendente: “i figli del pastore della zona dormivano dentro al suo occhio e per decenni non si sono accorti della sua forma”, ci viene raccontato tra un flash e l’altro. E’ una meraviglia della natura! Occhi sbarrati e bocca aperta, la maschera guarda chissà dove: la saluto con un certo dispiacere, mi rinfresco e finalmente è il momento di mangiare; sì in 25 euro è compreso anche uno spuntino, che in effetti è un pranzo a base di vino locale, salsiccia, olive, pane carasau, formaggio stagionato, formaggio fresco, cipolline e pomodori secchi. Insomma un pranzo da Re.
Bella è bella Baunei, e pure ricca: non visitarla sarebbe un vero delitto.
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