Molto discusso, molto amato, ma in genere poco capito.
Questo è stato detto di Giuseppe Biasi. Appena ho avuto la fortuna di riscoprire questo pittore sardo, immediatamente ne ho amato l’insolita tecnica, l’ingegnoso utilizzo di colori, seppure il motivo principale per il quale a questo mi sono avvicinata, è stato chiaramente quello relativo ai temi da lui trattati.
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Parla di Sardegna, parla di cose sarde e lo fa non con la parola ma con il disegno, in un epoca, gli esordi del novecento, nella quale le cose sarde, e i sardi pure erano posti alla mercè delle facili critiche, additati da un’antropologia razziale e disdegnati a causa della presenza di un fortissimo banditismo, che ci rese tristemente famosi nel mondo. Ecco fra tutto questo nasce un pittore originale, autodidatta, figlio di una famiglia d’intellettuali sassaresi, che lo indirizzarono verso gli studi.. indovinate un pò.. giuridici.
E’ bene ricordare che il mestiere di artista, pittore in genere non era assolutamente ben veduto in una terra affamata, nella quale ciò che aveva valore, era ciò che risultava essere concreto. Lui legittimerà , attraverso un processo che lo vedrà protagonista insieme a pochissimi altri sardi, il ruolo dell’artista, e il valore dell’arte in Sardegna. Il suo stile, ad osservarlo con cura ci appare semplice ed essenziale, ma meravigliosamente diverso rispetto a tanto altro che abbiamo veduto. Si presenta come illustratore, proprio quando la grafica editoriale sta cercando nuovi percorsi per accattivare e richiamare i lettori. E pensateci bene osservando le sue opere. Non vi sareste fermati voi pure a guardarle con un certo stupore? E’ cosa non improbabile. Ma quello che più mi affascina di questo pittore è la scelta delle argomentazioni.
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La Sardegna, cosi come i suoi personaggi, sono consegnati alla storia come oggetti di un interesse notevole, come custodi di leggende antiche, come eredi di una razza nobile, che non ha perduto la propria dignità seppure piegata dalle inclemenze della storia. E cosi la forza del pastore sardo la si osserva scrutando lo sguardo inciso nella tela, e la languida bellezza misteriosa della donna isolana trasuda dalla pittura. Quando ancora Biasi è ospite della sua terra, si interesserà di collocare questi personaggi in uno sfondo che richiama i naturali paesaggi della terra stessa. Scenari di sfondo, colmi di particolari intriganti, che spariranno quando si allontanerà dall’isola, quasi che la memoria lentamente sfumasse, e lui altrettanto lentamente dimenticasse. No, sarebbe un errore crederlo. Si concentrerà sulle immagini di personaggi sardi, tentando forse di svecchiare una pittura che viene considerata oramai, purtroppo, troppo ripetitiva. Partito nel 1915 in guerra, verrà immediatamente ferito e ricoverato in Milano, dove avrà la possibilità di conoscere una nobildonna di origini sarde, Jovotte Bocconi Manca di Villahermosa.
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Il suo ritratto sarà uno dei più famosi. La sua fama degrada con forte probabilità a causa della sua non aderenza con il regime fascista. Nel tentativo di rinnovarsi ancora, parte per l’africa nel 1924. Ripromessosi di non trattare più di cose sarde, s’interesserà al mondo africano, e molte sono le pitture che attestano di questo suo interesse. Farà comunque ritorno a casa nel 1927. La sua antipatia per il regime lo colloca probabilmente ad un ruolo marginale. Sarà dunque strano vederlo simpatizzare, a regime crollato, con lo stesso. In quel clima di forte odio nei confronti dei nazisti, verrà dunque accusato d’essere una delle loro spie, e di nascondersi dietro il ruolo di pittore per indicare nelle proprie opere, movimenti delle truppe alleate. L’accusa resterà anonima ma gli varrà un arresto. Il 20 maggio del 1945, mentre viene trasferito in altro carcere, verrà colpito da una pietra lanciatagli contro e morirà sul colpo. Il suo corpo resterà insepolto per quattro giorni, finché amici pietosi avranno cura di donargli riposo.
Scarica Giuseppe Biasi ed. Ilisso
Photo Credit: ilisso.com
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