Uno degli articoli a cui sono maggiormente affezionata. Felice Solstizio d’estate, felice ciclo di San Giovanni a tutti!
Doveva essere ben più affascinante ieri, quando il sole tramontava su distese di campi messi a coltura che correvano ben oltre la linea dell’occhio, illuminando le balle del grano, la terra arata, gli animali storditi dal caldo, gli uomini eccitati dalla festa, accecati dal momento, accompagnati dal fragorio scoppiettante di un ruscello d’argento che andava verso la direzione che Natura gli aveva imposto.
Doveva essere ben più affascinante ieri se ancora oggi resta suggestivo l’attraversamento di quella giornata durante la quale sono più le ore della luce che quelle della notte ad illuminarci, durante la quale la tradizione racconta che sole e luna si siano incontrati, si siamo amati, si siano lasciati.
Doveva essere più affascinante ieri, eppure ancora oggi, a modo nostro, chi più chi meno festeggia. Alcuni chiamano quell’incrocio di forze, di raggi di sole e di frecce di luna Solstizio d’Estate, c’è chi attratto dalla confezione piuttosto che dal contenuto si accontenta di chiamarlo San Giovanni, tutti percepiscono una rottura, una fine, un nuovo inizio.
Un ciclo lungo giorni, un ciclo antico, forse il più antico, con residui di agricolo e ricordi d’un culto fallico che solo a tratti si scoprono, ma che fino a ieri dovevano essere ben più espliciti se il 7 gennaio del 1715 il conservatore e bigotto arcivescovo Bernardo de Cariñena, in merito ai festeggiamenti messi in atto per San Giovanni parla di cerimonias escadalosas .
Non festeggia solo la Sardegna, certo che no! Il Solstizio d’Estate è cosa che appartiene a tutti i popoli che abbiano rivolto l’occhio al cielo con un pizzico d’intuito, ma l’isola festeggia a suo modo, grandiosamente, con un’abbondanza di riti e di modi che fanno intendere di quanto fosse importante il Solstizio d’Estate, che lasciano solo immaginare quanto sia stato fortunato Giovanni fatto Santo a prenderne il posto, il ruolo.
E’ l’avventata, passionale, estenuante unione lunga tutta una notte, tanto violenta perché tanto attesa, fra Sole arso di desiderio e Luna pallida d’amore, che dà luogo alla creazione di energie benefiche. Queste si posano come piccole janas, polvere di fata, sulla terra, sulle acque, sulle piante, sui frutti, sugli animali, sugli uomini ma soprattutto sulle erbe.
Quel miracolo è festeggiato, quasi che la notte di passione fra Luna e Sole fosse da accompagnare al suono di falò ed al ritmo di danza. Ma non è solo questione di fuoco, che pure si fa ardere per tutto un giro di luna senza sosta, un tempo c’era chi si impegnava nelle cerimonie lustrative, chi donava le canne ornate di doni, chi attento seguiva lo svolgersi del comparatico e chi silenziosamente andava alla ricerca di erbe fra i boschi, fra i campi fitti di buio, frizzanti di suoni, schiariti dall’opalescente signora.
I falò, i fogaronis, sono gli uomini ad accenderli in ogni angolo della Sardegna, durante la vigilia oggi e durante tutte le giornate che fanno parte del ciclo di San Giovanni, ieri. Esattamente mentre il fuoco ardeva, alimentato da lentischio, cisto o asfodelo, due giovani di sesso uguale od opposto, si promettevano amicizia lunga una vita. Si trattava di un rito antico, oggi caduto in disuso, un po’ come le amicizie che condividono un’esistenza intera. Si saltava sul fuoco, condividendo speranze a mano presa, permettendo all’elemento che tutto purifica di sigillare quel patto, quel vincolo che null’altro sarebbe venuto, avrebbe potuto cancellare.
Elemento che caratterizzava il comparatico non era solo il fuoco, che fondeva, amalgamava, mescolava due giovani vite, c’era anche su nénneri, su nénniri, fatto di grano germogliato al buio, esattamente come era in uso per il Giovedì Santo. Una zolla di terra nera e umida con una cresta irta e morbida di grano fresco, d’un verde limonato e brillante. L’abitudine valida grosso modo per tutta l’isola, ben accetta sia nel mondo agricolo, sia nel mondo pastorale, voleva che il comparatico investisse due compaesani di diverso sesso. La donna su un pezzo di corteccia di sughero doveva mettere a germinare del grano e il giorno di San Giovanni questo sarebbe stato trasportato in corteo presso una chiesa dei dintorni e frantumato contro la porta. I due sarebbero diventati goppàis e gommàis de fròris. Nel Campidano i nénniri venivano arricchiti di fiori. A Quartu Sant’Elena nello specifico pare che l’uso del comparatico sia rimasto in vigore fino a qualche anno prima della seconda guerra mondiale. Chi prendeva l’iniziativa inviava un nénniri all’amica scelta che solo nel caso di accettazione avrebbe dovuto restituirlo aggiungendovi un fiore, di norma un garofano.
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