Itinerari magici: il faro di Sant’Antioco (che poi è un Semaforo)

Sant’Antioco è la mia El Dorado: la cerco inseguendo la sua promessa di ricchezze e non la trovo mai, eppure mi arricchisco durante il viaggio.

Non era la prima volta che la visitavo, e non sarà l’ultima. D’altronde cambi il mese nel quale organizzi il tuo viaggio cambiano i luoghi che il viaggio ti regala e a far due conti, non mi basterà una vita per conoscere tutta la mia terra, così piccola, così dannatamente ricca.

La prima volta che mi si è ficcata in mente Sant’Antioco avevo nel cuore il desiderio di fare una bella chiacchierata con Chiara Vigo, desiderio per altro sfumato, questa volta di visitare un laghetto nuragico del quale tanti, troppi mi hanno raccontato, e anche questo desiderio è sfumato, ma andiamo per ordine.

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Ho prenotato con un certo preavviso la stanza in uno dei tanti b&b presenti nella zona, cercandone uno ospitale, in centro e soprattutto economico.  Gaulos ha soddisfatto in pieno le mie esigenze: 90 euro per due notti e per una camera matrimoniale, un occasione da non perdere, e io e mio marito abbiamo deciso di non perderla.

La strada per raggiungere l’isola nell’isola, l’ho già detto, è narcotica, se si eccettua il casuale incontro con quella che io chiamo la collina rossa, nel dintorno d’Iglesias. Nemmeno la laguna mi ha sorpreso questa volta, increspata da un venticello ottuso e fresco che ha rovinato il romanticismo del momento. Eppure lo sai, quando superi il ponte romano, scivoli all’interno di un calderone di sorprese.

Trovare il b&b non è stato poi troppo complesso, non in compagnia del mio navigatore vivente per lo meno: fosse per me staremo ancora girando.

La gentilezza dei proprietari, palese fin dal primo scambio di mail, è stata confermata. Credo d’averli un po’ intimoriti e incuriositi con tutta la lista delle località che avrei voluto desiderare “Ma dove li hai trovati tutti questi luoghi?”, ho sorriso. Potere della gallery fotografica di Google Earth, il migliore amico del viaggiatore informato.

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La prima meta doveva essere il villaggio nuragico di Grutti Acqua, ma dato che il Semaforo era di strada, abbiamo deciso di farci trasportare. E quando la donna che pianifica anche l’ora nella quale lavarsi i denti si lascia trasportare, sono all’orizzonte guai, ma non ti preannuncio niente.

Si trova nella zona sud est dell’isola, poco distante da Capo Sperone e lo si raggiunge seguendo delle fini e polverose strade di campagna che durante il mese di maggio sono un’implosione di colori: papaveri che si distendono come tappeti cremisi ed euforbia d’un verde limonato, immersa nel bianco delle carote selvatiche che crescono ovunque. L’ho percepito fin da subito il fermento della natura che si risvegliava, che riprendeva possesso della sua Sant’Antioco. L’uomo d’altronde nell’isola sull’isola la lascia fare, e lei fa.

La macchina si è arrampicata lentamente fino al Semaforo fermandosi davanti ad una sbarra. Nessun centro informazioni, nessun biglietto da pagare, solo il sole, il mare e la pendenza insieme con il caldo che hanno reso la salita dolorosa. Eppure più si saliva, più il panorama s’allargava caricandosi di dettagli minuziosi: uno schermo 56 pollici con in diretta il mare. C’era la vacca e c’erano i vitellini avviluppati da una foschia mattutina che sarebbe calata solo dopo qualche ora, c’era la strada che scivolava verso il mare, diritta e lunga come biscia che torna all’ovile, c’erano le nuvole strisciate contro il cielo, stirate da una brezza che noi non abbiamo sentito, c’era il sentiero che si arrampicava e fiori d’ogni colore e profumo. Forse non avrei dovuto ma ho portato via con me qualche bulbo d’aglio selvatico: i fior sono una vera e propria meraviglia, calici di fata, rosa o bianchi su d’uno stelo lungo e flessibile.

Il Semaforo, che io ho lungamente chiamato Faro domina su tutta la costa circostante da un altezza di 176 metri sul livello del mare. Fu stazione semaforica e telegrafica e anche lui diede il suo contributo e il suo sangue durante i conflitti mondiali. Oggi restano solo i ruderi ottocenteschi di un edificio che pare fortino e tutta la tranquillità che per decenni gli è stata preclusa. La struttura fatiscente ha tutto il mistero dell’ignoto: pericolante com’è entrare non è consigliato, eppure sbirciando dalla porta si possono immaginare le storie che debbono aver mosso quel luogo, le vite che vi si sono accavallate dentro: abbiamo intravisto un forno, delle finestre contro il mare, una cantina, una cucina e il tempo, che si riprende lo spazio rubato dall’uomo.

Ero accaldata e arrossata quando abbiamo abbandonato il luogo che è, te lo confesso, favoloso, non so dirti se per merito del cielo, del silenzio, del mistero, o dell’aglio selvatico. Con grande sorpresa abbiamo trovato la strada per Grutti Acqua senza sbagliare: Sant’Antioco sarà pure bella, ma mantiene il suo carattere selvatico e la segnaletica mal si addice a luoghi indomati: per intenderci trovare la giusta segnaletica è cosa per pochi, non per tutti!

A giorni arriva la seconda parte, poi la terza, la quarta…

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Photo Credit: claudia.zedda

@Kalaris

2 Comments
  • Silvia
    Maggio 3, 2014

    Ciao Claudia,
    complimenti per l’articolo… putroppo però devo dirti che la collina rossa di cui parli non è altro che una discarica dell’impianto di Elettrolisi che, dal 1926, per circa cinquant’anni, ha recuperato lo zinco.
    Purtroppo sono anche altamente inquinanti, come potrai leggere nell’articolo che ti allego.
    http://www.regione.sardegna.it/j/v/491?s=225788&v=2&c=27&t=1

    A presto,
    Silvia

  • Kalaris
    Maggio 5, 2014

    Ma che tristezza 🙁 Grazie per il contributo Silvia!Leggerò con interesse il pezzo!

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