La storia che sto per raccontarti parla di panini al latte, ma te lo sei mai chiesto cosa ci sia dentro i panini al latte?
Io sì, parecchie volte, perché la regola della mia famiglia è da decenni questa: mai un compleanno senza. Panini al latte ovviamente. Per cui ho imparato a mangiarli, ho imparato ad aver pazienza, perché la preparazione domestica non è mica breve, e ho anche imparato a farli, scoprendone gli ingredienti. Ecco: dentro i panini al latte ci sono gli ingredienti, ma gli ingredienti non sono solo ingredienti. Sono storie.
E quella dei miei panini al latte comincia con un ricettario che non mi appartiene ma l’universo mi ha fatto arrivare direttamente a casa. Era di un pasticciere, uno di quelli che lavoravano nelle migliori pasticcerie della Cagliari post bellica. Quando le pasticcerie erano l’anticamera, piuttosto elegante, del paradiso, tutto odorava di meringa, e i muffin erano semplicemente tortini male assemblati. Lui e la moglie hanno fatto spesso da baby sitter a mia madre. Sapete quando succedeva che fra vicini ci si conoscesse e aiutasse? E’ così che mamma ha imparato la preparazione di parecchi dolci, è così che mamma ha imparato a segnarle in un ricettario le dosi per la preparazione dei dolci, è così che il ricettario è arrivato a casa mia: perché mamma di questo pasticciere mi parlava spesso. E non lo chiamava pasticciere, ma Signor Francesco. Ho scoperto poi che Signor Francesco da piccola l’ho visto anche io, che era il padre di una mia zia (e sì, il fratello di mamma e la figlia si sono sposati), e ho ricordato che aveva mani grandi e voce profonda tanto da sembrarmi un gigante, ma intendiamoci, di quelli buoni.
Il ricettario è arrivato e io solo di recente ho iniziato a sfogliarlo: il tempo è cosa strana, ma le cose succedono sempre quando devono succedere.
C’era anche la ricetta dei panini al latte: ora c’è da dire che io la ricetta dei panini al latte ce l’avevo già per cui l’avrei potuta pure saltare ma fra gli ingredienti compariva la farina americana.
Ecco, questa è la storia dei panini al latte, di Signor Francesco e della farina americana.
La farina americana
Dopo aver letto “farina americana”, l’idea è entrata in circolo Ho chiesto a mamma e lei mi ha risposto che la farina americana era la manitoba. E io che pensavo fosse una moderna zozzeria d’oltre mare. Invece no. E’ una farina vera per davvero.
Non ci ho creduto (no scherzo mamma, ma ne volevo sapere di più).
Ho chiesto alla signora che mi rifornisce di farina freschissima, e lei mi ha risposto che la farina americana era ed è la manitoba. Che ce la portavano gli americani dopo la guerra e per questo è diventata la farina americana. Me ne ha insaccato un chilo appena macinato e via, mi ha salutata.
Non ci ho creduto (no, scherzo, ma ne volevo sapere ancora di più).
Ho chiesto a Google e lui mi ha raccontato una storia interessante.
È una farina di grano tenero Canadese prodotta originariamente nella provincia del Manitoba. Lì producevano solo questo grano perché era l’unico che davvero fosse in grado di resistere al freddo locale e quindi la provincia gli ha regalato il nome, che poi non era proprio il suo, ma il nome di uno (… ci sei? Tieniti forte), spirito primordiale universale amerindo: Manitù. I nativi americani erano certi si presentasse in ogni cosa: ambiente, natura, esseri viventi, accadimenti, me, te. A me già così basterebbe, ma c’è di più. In questa provincia i nativi americani costruivano i petroforms (ne restano ancora parecchi) all’interno dei quali, si riteneva, dimorasse la divinità. Si tratta di cerchi e costruzioni in pietra che mettono in connessione uomo e divino. Ogni situazione aveva il suo Manitù: per guarire ad esempio si invocava il Manitù delle piante, per ottenere una buona caccia il bufalo Manitù. Questo Manitù mi ricorda vagamente le nostre madri dell’acqua, del vento, del sole, del sonno, del mare e chi più ne ha più ne metta. Abbiamo anche una madre del caffè. Insomma ti sfido a riusare la farina Manitoba senza pensare al grande spirito, Manitù.
La ricetta
Ora non so se questi panini vengano tanto bene per via della Manitoba o per via di Manitù. Lui di certo ci mette lo zampino, ma anche la farina, ho scoperto, è niente male. È una farina forte (W superiore a 350). È ricca di glutine e povera di amido il che le consente di trattenere i gas che durante la lievitazione aiutano la crescita dell’impasto e durante la cottura lo sviluppo del prodotto. Ottima per pizza, panettone, pandoro, baguette e chiaramente panini al latte.
Per realizzarne circa 20 ecco gli ingredienti
500 gr di farina manitoba
40 gr di zucchero (di più se li vuoi dolci)
1 uovo + 1 tuorlo
220 gr di latte (io senza lattosio, tu se preferisci intero). Temperatura ambiente
80 gr di burro morbido (io senza lattosio)
1 cucchiaino di lievito di birra
8 gr di sale
Per spennellarli
1 tuorlo grande
1 cucchiaino di latte
Procedimento
Me lo sono dovuta un po’ inventare perché Signor Francesco scriveva gli ingredienti, ma la procedura, beh quella no.
Prima di tutto preparo il lievitino con 100 gr di farina (dal totale), il lievito e 100 gr di latte (dal totale). Lascia riposare per 1 ora ad una temperatura di circa 26 gradi e procedi.
Amalgama lievitino, farina restante, latte restante, zucchero e poi l’uovo solo quando gli ingredienti sono ben mescolati il tuorlo. Solo quando il composto è omogeneo aggiungi lentamente il burro (temperatura ambiente, tagliato a pezzi) ed infine il sale. Lascia riposare per circa tre ore e poi forma i panini che dovranno riposare per un’altra ora. A questo punto spennella e inforna a 175° per 20 min circa. Li puoi mangiare caldi (buonissimi) o li puoi congelare (meno buoni ma almeno li puoi mangiare quando li vuoi).
Dietro ogni ricetta sta una storia: il difficile è scoprire di quale storia si tratti. Ora conosci quella dei miei panini al latte.
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