Olive in Sardegna: fra cucina, cura e magia
Raccogliere le olive è faticoso ma anche particolarmente divertente. Quest’anno le cose sono andate proprio così. Abbiamo raccolto durante belle giornate di sole, i raggi hanno rinfrescato la nostra abbronzatura e le olive raccolte erano belle, verdissime, tonde e succose, piacevoli da toccare, selezionare, guardare, fotografare.
Quelle che sono scappate al frantoio sono arrivate direttamente nella mia cucina. Ecco le tre ricette che ti racconto.
Consumo a lungo termine: olive in salamoia
La ricetta dell’oliva in salamoia è piuttosto semplice ma intramontabile.
10 litri di acqua
1 kg di sale
Olive
Contenitori in vetro
Finocchietto selvatico appena raccolto
Lascia per qualche giorno le olive a bagno in acqua tiepida dopo di che crea la miscela di acqua e sale, riempi i contenitori in vetro con le olive (controllale una ad una e cerca di selezionarle per dimensione e per salute) e colma con l’acqua salata. In ogni contenitore inserisci qualche bastoncino di finocchietto selvatico, chiudi e riponi in dispensa. Io normalmente le consumo l’anno successivo.
Consumo a medio termine: olive nere sotto sale
Questa ricetta me l’ha passata mia suocera e consente di usare le olive nere in un mese circa.
Olive nere
Sale grosso
Cola pasta
Lavare le olive nere e metterle in un cola pasta completamente coperte da sale grosso. E’ bene cambiare il sale ogni 4 giorni circa fintanto che le olive non avranno perso tutto il liquido e l’amaro. In un mese circa dovrebbero essere pronte. Capisci che sono pronte quando assaggiandole non ti vengono gli occhi storti a causa del gusto amaro. A quel punto le puoi congelare per conservarle, oppure le puoi condire con olio, e soffritto di aglio, prezzemolo e pomodoro secco.
Consumo a breve termine: olive pestate (olia pistada)
La ricetta dell’olia pistada me l’ha regalata Cecilia, una carissima amica di Villamassargia e lì di olive se ne intendono.
Olive verdi
Finocchietto selvatico
Acqua
Sale
Pesta le olive verdi e mettile per 8 giorni in acqua tiepida (cambiagliela diverse volte al giorno). Trascorsi gli otto giorni metti a bollire le olive in acqua con sale e finocchietto selvatico. Ogni tanto le olive vanno assaggiate per capire se sono insipide. In quel caso puoi aggiungere altro sale. Quando la polpa sarà diventata morbida le olive dovranno essere scolate e messe in acqua fresca salata profumata con del finocchietto selvatico. Da quel momento in poi possono essere consumate.
Ora verrebbe da pensare che sulle olive si sia detto tutto, ma in realtà olive e olio sono legate, per lo meno in Sardegna, a un’infinità di tradizioni magiche e leggendarie, curative e divinatorie che mi stanno particolarmente a cuore.
In questo articolo non potrà essere raccontato tutto, ma chi ben comincia è a metà dell’opera.
Olea europaea e cosmetica
L’olio d’oliva è ancora oggi un olio altamente usato in cosmetica. I sardi lo usano praticamente da sempre per rendere più morbida ed elastica la propria pelle, lucidi i capelli e meglio funzionante il proprio organismo. Il costume dell’uso cosmetico dell’olio sembrerebbe semitico, ereditato poi in ambiente punico, ma niente ci vieta di ritenere che l’olio di oliva sia stato usato spontaneamente dai primi sardi per funzioni squisitamente estetiche e curative, magiche e rituali.
L’olio in Sardegna veniva spesso amalgamato con altri ingredienti semplici ma utilissimi. La creazione de s’ollu minàu ad esempio prevedeva l’unione di eguali dosi (delle volte 100:50) di olio e acqua che venivano poi emulsionate. S’ollu minau veniva usato per una miriade di faccende: a livello cosmetico era utile per idratare cute e capelli e per aiutare a mantenerne la piega. Lo usavano indistintamente uomini e donne.
Olea europaea e cure tradizionali sarde
Dell’olivo, esattamente come del maiale, non si buttava niente.
La corteccia in decotto, con succo di limone era un buon febbrifugo, i rametti fogliati o i germogli erano considerati antibatterici e come tali usati. Erano usati per via esterna contro l’herpes labiale o nelle screpolature delle labbra. Le foglie in decotto avevano potere ipoglicemizzante e diuretico. L’olio per via interna era considerato un ottimo lassativo e utile contro le infiammazioni della gola e per combattere il raffreddore.
Per via esterna l’olio d’oliva veniva usato in una marea di sitauzioni:
olio a temperatura ambiente contro le ustioni, come emoliente nelle infiammazioni, nelle screpolature, nella cura degli eritemi, nelle otaligie (poche goccie nelle orecchie), nella cura della crosta lattea, nei mal di testa (massaggio e uso di un panno caldo sulla fronte);
olio tiepido veniva usato nelle otalgie, per curare su dobòri de s’ènna de s’ànima (il dolore della porta dell’anima – dolore sottosternale);
olio caldo era utile per curare i sintomi del raffreddore: si massaggiavano il petto, il naso, la gola, le palpebre e tutte le parti del corpo doloranti. Era inoltre usato contro i geloni o contro i talloni spaccati dal gelo.
L’olio d’oliva poteva inoltre essere mescolato con altri ingredienti. Abbiamo già accennato a s’ollu minau (ne parlerò ancora altrove), ma merita d’essere ricordato anche s’unghèntu de cèra nòa ottenuto amalgamando cera vergine e olio d’oliva.
Inoltre l’olio veniva amalgamato con una marea di piante per la realizzazione di quelli che oggi chiamiamo oleoliti.
Infine l’olio poteva essere emulsionato anche con:
uovo crudo o albume, per la cura dell’herpes zoster;
latte per eliminare la crosta lattea;
miele per curare le scottature da acqua bollente o sole;
succo di limone contro le screpolature delle mani.
Olea europaea e magia
Raramente quando si parla di medicina dell’occhio non si parla anche di olio d’oliva. La pratica de sa mixina de s’ogu (per dirla alla campidanese) è una vera e propria medicina esorcistica contro il malocchio della quale ti parlerò più approfonditamente altrove.
Qui basti dire che mentre le donne esperte recitavano brebus, berbus o pregadorias, l’olio veniva lasciato cadere sull’acqua. In base al tipo di interazione fra olio e acqua la malattia era riscontrata o meno e curata. In alcuni casi all’olio veniva sostituito il grano, il sale o altri elementi.
L’olio d’oliva era indispensabile anche per la realizzazione di quelle che comunemente erano dette làntiasa (lumini). Li si realizzava a Gonnosfanadiga e anche altrove per costringere chi aveva rubato a restituire l’oggetto. Ecco come si procedeva: in un recipiente pieno d’acqua si versava dell’olio d’oliva su cui si adagiavano tre lumini di cui uno più alto. I lumicini sarebbero stati accesi e lasciati accesi per sette o tredici giorni. Questi sarebbero stati in grado di apportare malessere a chi aveva sottratto l’oggetto che sarebbe stato restituito entro lo scadere del rituale. Fondamentale la recita dei brebus e la presenza di una donna “pratica” che si sarebbe occupata di svolgere il rituale.
Olea europaea e previsione del futuro
Mi piace chiudere questo breve articolo parlando di due usi particolarmente diffusi in Sardegna, utili per avere previsioni sul futuro matrimoniale delle giovani sarde.
Su olieddu veniva praticato con foglie di olivo od olivastro indifferentemente in tutto il Cagliaritano. Le foglie dovevano essere due e rappresentavano una la ragazza e una il ragazzo. Venivano messe sul fuoco e se al calore le foglie, crepitando e saltando si avvicinavano questo significava che i due si sarebbero presto sposati. Il rito poteva essere svolto la notte di Natale, a Capodanno, durante l’epifania ma anche durante la festa di San Giovanni Battista.
Durante il ciclo di San Giovanni Battista si praticava a Senis (e altrove) su giogu de s’innamoràus. Si prendevano due gusci di noce e si riempivano di olio. Ciascun guscio era dotato anche di uno stoppino: un guscio rappresentava l’uomo e l’altro la donna. Solo uno stoppino veniva acceso e se le noci si fossero lentamente avvicinate e l’uno stoppino avrebbe acceso l’altro, ciò significava che presto i due si sarebbero sposati o fidanzati.
Detto questo ti invito a raccontare le tradizioni del tuo paese, gastronomiche, magiche e curative. Anche grazie al tuo contributo questo articolo diventerà migliore!
Fonti
Le piante nella tradizione popolare della Sardegna, Aldo Domenico Atzei. Carlo Delfino Editore.
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